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Un libro sontuoso nella veste grafica, ma soprattutto un testo di grande serietà storica e ricchezza di documentazione; un volume che susciterà sicuramente interesse e ammirazione

“Un libro sontuoso nella veste grafica, ma soprattutto un testo di grande serietà storica e ricchezza di documentazione; un volume che susciterà sicuramente interesse e ammirazione anche presso gli studiosi del costume anglosassoni, sulle cui esperienze tutti noi ci siamo formati al momento di intraprendere le nostre ricerche nei primi anni di vita della Galleria del Costume”: con queste lusinghiere parole Cristina Piacenti Aschengreen, fondatrice di questa importante realtà museale fiorentina e ora direttrice del Museo Stibbert, ha presentato alla stampa un nuovo volume a lei dedicato dalle autrici, “Moda a Firenze. 1540-1580. Lo stile di Eleonora di Toledo e la sua influenza” di Roberta Orsi Landini e Bruna Piccoli, edizioni Polistampa, realizzato con il determinante contributo della Fondazione Arte della Seta Lisio.

E le premesse non hanno deluso, perché a rendere unico il volume, al di là della veste grafica a dir poco preziosa, colpiscono la serietà e la profondità dell’immane ricerca svolta dalle autrici sui documenti d’archivio e in particolare sui “Quaderni di Guardaroba”, dove alla corte medicea venivano puntualmente registrati gli oggetti e i capi di vestiario commissionati o acquistati: ne è risultato un quadro d’insieme che proprio per la brevità del periodo di tempo esaminato - gli anni 1540-1580, in cui sulla moda fiorentina è evidente l’influenza del gusto di Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I - risulta davvero esauriente e ricco di una infinità di annotazioni, di grande interesse per la storia del costume. Inoltre l’apparato iconografico, per meglio seguire gli sviluppi della moda del tempo, raffronta in grandi tavole particolari come le acconciature, i colletti, le attaccature delle maniche (con i tipici rigonfiamenti detti “baragoni”) o le decorazioni eseguite a ago, e rende quindi il volume di grande interesse e utilità anche come strumento di consultazione, ad esempio per la datazione di dipinti e oggetti d’abbigliamento.

Eleonora di Toledo era figlia di don Pedro Alvarez de Toledo, nominato viceré di Napoli nel 1532: ed è nella città partenopea che nel 1535 la bellissima fanciulla, appena tredicenne, vide per la prima volta Cosimo de’ Medici, che -vuole la tradizione- si invaghì subito di lei, sposandola nel 1539. Altera, distaccata e di carattere volitivo, forse Eleonora non incontrò subito la simpatia dei fiorentini, e del resto a corte si avvertiva la presenza della nobiltà spagnola costantemente al suo seguito. Intransigente come madre, certo anche per l’educazione rigidamente cattolica ricevuta, la duchessa, molto innamorata e ricambiata dal marito, ne condivideva la passione per la caccia e il gioco d’azzardo, gli era al fianco nelle occasioni pubbliche e partecipava alla gestione dello Stato, sostenendo anche in prima persona alcuni impegni di governo in caso d’assenza di Cosimo.
Se certe sue libertà e il suo gusto innovativo porgevano il fianco alle critiche, la sua intelligenza e la sua generosità nelle opere caritatevoli le facevano riacquistare una certa popolarità. Certo è che quegli anni videro grandi cambiamenti a corte, in un ritorno ai fasti del periodo laurenziano; e sarà proprio Eleonora che stanca delle austere dimore di proprietà della casata, dopo aver trasferito la famiglia da Via Larga a Palazzo Vecchio, deciderà infine nel 1549 l’acquisto del palazzo dei Pitti, che verrà lussuosamente arredato e a partire dal 1561 sarà trasformato in vera e propria reggia (ma la granduchessa non potrà assistere oltre a tali restauri, morendo nel 1562 per via di una terribile epidemia di febbri malariche, che colpì anche i suoi figli Giovanni e Garzia).

UN ABBIGLIAMENTO ORIGINALE
Carattere piuttosto complesso, Eleonora dapprima sorprese e forse indispettì i fiorentini con le sue innovazioni, il suo comportamento libero, la sua inusuale indipendenza economica, e - questo il tema principale del volume - con il suo abbigliamento: non seguiva la moda spagnola, ma certo internazionalizzava e dava nuovo carattere a quella fiorentina, facendo uso di capi come la “zimarra” (una lunga sopravveste d’ispirazione turca, divenuta presto un must per le nobildonne) o di cappelli piumati e vestiti di foggia maschile, considerati dapprima inquietanti e scandalosi, e poi straordinariamente in voga tra le dame di corte.
La duchessa vestiva alla moda molto più delle figlie, aveva un suo stile personalissimo, dava un gran lavoro a tessitori, ricamatori e artigiani che le confezionavano gli abiti più eleganti ed estrosi, diffondendo sempre più l’uso di confezionare capi d’abbigliamento a pezzi staccati, come quelli maschili, con i corpetti, le sottane e le già citate “zimarre”; portava rigidissimi busti cartonati, che appiattivano totalmente il seno, indossava pianelle con una zeppa alta anche 20 centimetri, ordinava perfino un paio di “calzoni” o meglio una sorta di mutandoni, considerati a quel tempo decisamente “sconci”, perchè usati dalle cortigiane (“portano molte di loro le braghesse, come gli uomini... et à questi segni... sono facilmente conosciute” scriveva alla fine del ’500 Cesare Vecellio). Usava inoltre orecchini che richiedevano il lobo forato, anch’essi ritenuti sconvenienti, e quando andava a cavallo indossava calzoni al ginocchio sotto le gonne...

BANDITA L’OSTENTAZIONE
La sua personalità finì comunque per affascinare tutti e presto o tardi ogni gentildonna fiorentina finì per seguire la moda da lei lanciata; e così, mentre Cosimo costruiva l’immagine pubblica della sua dinastia, Eleonora diffondeva uno stile e codificava un’etichetta di corte, pur senza eccedere nell’ostentazione per non irritare i sudditi (gli armadi a palazzo erano pieni di sete sontuose, usate per doni o arredi, ma solo raramente per gli abiti della duchessa che preferiva abiti ricchi, ma non inimitabili, riutilizzando comunque decorazioni e ornati preziosi con oculatezza). Unica concessione le tinte, quelle tipiche del potere, dal rosso al viola purpureo (detto “pagonazzo”), al bianco più puro.
E il racconto acquista concretezza - oltre che con l’esaminare i numerosi ritratti presenti nelle gallerie fiorentine - col visitare la sala che il Museo del Costume di Palazzo Pitti ha dedicato, come è noto, ai preziosi reperti provenienti dalle sepolture medicee, da cui furono tratti - ricorda Cristina Piacenti - veri e propri stracci, che solo la passione degli studiosi e la perizia dei restauratori hanno potuto trasformare in apprezzabili testimonianze dei capi d’abbigliamento in voga nel Cinquecento a Firenze e della capacità artigiana degli artefici al servizio della corte medicea.
Data recensione: 01/08/2005
Testata Giornalistica: Toscana Qui
Autore: Maria Novella Batini