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Festa grande, l’altra mattina nello splendore della Galleria del Costume di Pitti (13 sale, 6.000 pezzi), uno dei musei di storia della moda più importanti del mondo. È ricomparsa

Festa grande, l’altra mattina nello splendore della Galleria del Costume di Pitti (13 sale, 6.000 pezzi), uno dei musei di storia della moda più importanti del mondo. È ricomparsa – presentata dalla sapienza di Cristina Piacenti Aschengreen – dopo cinquecento anni, austera e volitiva (dai più riconosciuta nel celebre ritratto del Bronzino) la granduchessa Eleonora di Toledo, cioè quella moglie spagnola, figlia del vicerè della Napoli spagnola, che a metà del Cinquecento fu sposa di Cosimo I dei Medici, principe che trasformò la città di Firenze in capitale dell’intero principato toscano.

Pareva di averla lì, anzi pareva (proprio qui nei suoi antichi appartamenti di Pitti) di essere entrati per raro privilegio nel suo prezioso guardaroba di primadonna, rienumerando alla vista dalle pianelle ai cappelli piumati, dalle sopravesti alle maniche variabili su ogni abito. La festa era per la presentazione di «Moda a Firenze 1540-1580. Lo stile di Eleonora di Toledo», straordinaria e fondamentale opera, figlia delle edizioni Polistampa, scritta con rigore filologico, assoluta competenza, e acribia sociologica e storica dalla grande esperta e studiosa Roberta Orsi Landini, coadiuvata dall’altrettanto valorosa Bruna Niccoli.

Usciti dal guardaroba della granduchessa, si poteva riflettere sulla portata storica e simbolica, oltre che mondana, di questi abiti e di altri preziosi manufatti che introdussero nelle abitudini fiorentine del Cinquecento, abbastanza autoctone, sebbene memori delle eleganze laurenziane, una serie di novità di fatto e di portata perfino politica. Le nobili fiorentine presero a indossare cappelli piumati, orecchini negli orecchi bucati, le zimarre di ispirazione turca che erano trasgressive novità di origine internazionale e soprattutto spagnola, ben gradite a Firenze.

Eleonora, come accade a personaggi del genere, con i suoi busti in acciaio sotto le vesti e le pianelle con le zeppe alte venti centimetri, fu ammirata ma non amata perché spesso invidiata e accusata di libertà che sfioravano la licenza. Fu gran donna (inventò accanto al Tribolo il Giardino di Boboli), fu compagna alacre del granduca, ma fu anche una femmina attenta alle civetterie della moda. Che ora in Palazzo Pitti – nella Galleria del Costume e grazie anche alla Fondazione Arte della Seta Lisio (che sui suoi antichi telai, prosegue una raffinatissima e rara produzione di tessitura di velluti e di sete con ori e argenti, nonché varie attività didattiche e culturali) – si investighi e rammemori la moda fiorentina cinquecentesca, non può che essere naturale conseguenza e felice auspicio per Firenze che resta pure della moda in qualche modo una capitale mondiale.

L’impresa e l’opera, valgano anche, per un verso a dire che neppure nel labile campo dell’effimero, cioè della moda, nulla nasce se non da una consapevole alta tradizione; e per altro verso ripropongono una delle facce dell’immensa miniera di cose belle e rare che la città custodisce ben oltre i totem artistici che lo sbrigativo turismo quotidiano viene qui a delibare.
Data recensione: 13/05/2005
Testata Giornalistica: Il Giornale
Autore: Pier Francesco Listri