A Firenze non succedeva niente da quando ancora si chiamava Fiorenza, e l’Arbia si colorò di rosso
A Firenze non succedeva niente da quando ancora si chiamava
Fiorenza, e l’Arbia si colorò di rosso; e Guido Cavalcanti, delicato poeta,
assalì le case di Corso Donati, e Dante lo spedì in esilio senza ritorno; i
Pazzi assassinarono Giuliano, e il popolo per risposta impiccò l’arcivescovo di
Pisa; e Lorenzaccio dei Medici uccise, senza ragione, il cugino duca Alessandro
(1537). Poi arrivò il castigamatti Cosimo, che, pur figlio di eroe e nipote
degli Sforza, era di animo poco tumultuoso, e creò un Granducato pacifico e di
manica larga, con i Medici e con i Lorena, finché, primo e unico al mondo, nel
1790 Leopoldo non abolì la pena di morte. Firenze, offrendo monumenti ai
forestieri, e lingua italiana a Bembo, Alfieri, Manzoni... visse tranquilla di
turismo culturale per trecento anni.
Ed ecco che all’improvviso la piccola e quieta antologia di letteratura e arte,
nuovamente si tinge di sangue. Le truppe tedesche, dopo otto mesi di Cassino, si
ritiravano verso la Gotica, ordinatamente ed evitando di esporre alla guerra le
città italiane; le formazioni regolari o di partito della RSI combattono nella
Pianura Padana e ai confini, mentre lo Stato in qualche modo funziona, fino al
crollo degli ultimi giorni dell’aprile 1945. Firenze esplode in un momento di
scontro e di furia. Sono i giovani fascisti, detti poi i franchi tiratori, che
potrebbero lasciare la città e continuare la guerra, oppure arrendersi agli Angloamericani;
e vengono invece colti dalla passione della morte, e uccidono e vengono uccisi,
morendo in maniera tracotante e spavalda.
È tutto vero storico, però Mario Bernardi Guardi, toscanaccio, ne fa un
romanzo, toscanaccio anch’esso, e, facendo violenza al suo italiano e al suo mestiere,
ci offre anche un curioso, brillante esempio di contaminazione della lingua con
il toscano parlato, e, dico un’eresia, dialettale: come quando il Machiavelli
scrive “golpe e lione” e non come Dante in Inf. XXVII.
Bisogna saper cogliere, nel romanzo, il messaggio profondo, che Mario trova in
due figure contraddittorie di quegli anni, e non solo fiorentini: Curzio Malaparte
con i suoi cambi di fronte, e che raccontò da pari suo i franchi tiratori e la
loro morte; e, ombra di eroe caduto in guerra, Berto Ricci, il fascista eretico...
o forse il vero fascista, e per questo eretico, in un movimento che diviene
regime e mussolinismo, e che non poteva essere che un regime e un apparato. Ma
i Berto Ricci, e altri come Maccari, avevano sperato che il fascismo fosse una
palingenesi ben di là delle bonifiche e delle conquiste coloniali e dei codici;
fosse un rinnovamento morale, l’uomo nuovo... Ciò non accade mai a nessuna religione
o rivoluzione, e i sognatori di cieli nuovi finiscono uccisi dalla rivoluzione divenuta
sistema, e statale.
O muoiono in combattimento; o muoiono per difendere l’ultimo fascismo di Firenze;
o muoiono per non cedere al nemico... o per non cedere alla realtà; per non
essere divenuti, nel Ventennio, gerarchi, anche se il Ventennio fosse Trenta e
Quarantennio o secolo... muoiono per non divenire (dopo il 1953, in punta di
diritto), consiglieri comunali e deputati. Poesia di una mano d’artista, o
squisita politica?
Letto già, ne traiamo qualcosa per il 2022, e 2023; e proprio oggi il romanzo
di Mario è metafora di un dilemma che, confessato no, è nel cuore di tutti “noi”,
qualunque cosa questo “noi” voglia dire, o volle dirlo anni, tanti anni fa:
ancora una volta c’è chi si trova di fronte a un movimento che, numeri alla
mano, è ora Stato, e non sempre e non del tutto può sembrare l’ombra di un
sogno giovanile. E ancora una volta, a qualcuno tocca distinguere tra votare
nelle urne, azione razionale, e votarsi, azione passionale, a una causa;
ammesso sia una causa, ammesso sia del tutto da condividere, ammesso non ci si
trovi costretti a trangugiare bocconi amari, e contentarsi del vecchio detto
che l’ottimo è nemico del bene.
Potenza della letteratura, che narra del passato per il presente; e che fa,
nella penna di Bernardi Guardi, della morte un’immagine, forse la sola, della
purezza ideale.
Ulderico Nisticò
Data recensione: 01/12/2022
Testata Giornalistica: Il Borghese
Autore: Giovanni Sessa