Una delle acquisizioni fondamentali della speculazione metafisica è che l’Essere possiede una consistenza ontologica
Una delle acquisizioni fondamentali della
speculazione metafisica è che l’Essere possiede una consistenza ontologica
propria, mentre il Non-Essere non possiede una consistenza ontologica propria.
Il Non-Essere “è” solo relativamente all’Essere, altrimenti non sarebbe: non ha
né può avere sussistenza indipendente – quella che invece l’Essere potrebbe
rivendicare. Dunque, il Non-Essere esiste solo relativamente all’Essere, del
quale è una privazione relativa: il Non-Essere è mancanza relativa dell’Essere.
Che cos’è il Niente? Nel linguaggio ordinario, il termine «niente» afferisce
all’ambito semantico della quantità, indicandone una estremamente ridotta o
nulla. Per analogia, potremmo tradurre questo termine in linguaggio metafisico
come “privazione (semi-)assoluta di Essere”. Ora: se il Niente fosse privazione
assoluta di Essere, semplicemente non sarebbe – il Niente sarebbe un assurdo
logico, impossibile ontologicamente. In questa accezione, il Niente sarebbe una
metafora lessicale per indicare una circostanza che non si può dare. Ci
accontenteremmo euristicamente di poco… Diversamente sarebbe, se adottassimo
tale metafora lessicale per indicare piuttosto la radicale indigenza di Essere,
una condizione ontologica segnata da un Non-Essere davvero semi-assoluto.
Il Niente, in questo senso, è il nome che potremmo attribuire alla regione più
estremamente periferica dell’Essere. Quaggiù la stessa entità si dissolve:
siccome l’Essere è forma, ed informa, il Non-Essere semi-assoluto è l’informe
quasi assoluto, e, poiché senza forma non si dà entità, è de-formalizzante –
una sorta di cupio dissolvi liminare e inestinguibile. Ebbene, il Niente
potrebbe allora essere compreso “tendenza dissolutiva” rispetto a ciò che è.
Una seconda acquisizione fondamentale della speculazione metafisica è che
l’Essere sia in qualche modo assimilabile al Bene. Essere e Bene, se proprio
non sono la stessa sostanza declinata secondo categorie diverse, sono comunque
strettamente ed inscindibilmente legati secondo un rapporto di proporzionalità
diretta: quanto più Essere, tanto più Bene; quanto più Bene, tanto più Essere.
Di conseguenza: quanto meno Essere, tanto meno Bene – cosicché il Non-Essere,
in quanto privazione relativa di Essere, è anche privazione relativa di Bene,
cioè “Male”.
Dato che il Non-Essere assoluto non può esistere, non può esistere nemmeno il
Male assoluto. Ma siccome esiste il Non-Essere semi-assoluto, può esistere il
Male semi-assoluto. E, siccome il Non-Essere semi-assoluto, cioè quello che noi
abbiamo chiamato il Niente, è ontologicamente tendenza dissolutiva – allora il
Male semi-assoluto è questa stessa tendenza dissolutiva: il Niente è Male
radicale, cioè essenzialmente deprivazione di Bene. Questo aspetto peculiare
del Niente, che è Male radicale, come “tendenza dissolutiva”, si può tradurre
anche come “Nihilismo”. Dunque, il Nihilismo è essenzialmente una tendenza
dissolutiva, che è ipso facto anche una fuga dal Bene.
Meglio di niente è allora un’espressione tautologica: se il Niente è Male
radicale, tutto ciò che non è Niente è un male di grado inferiore, è “meno”
male – perciò è “più” bene, cioè “meglio”. D’altronde, una tautologia non è un
errore – è semmai una conferma di ciò che è acquisito, la cui superfluità, se è
tale sul piano metafisico, offre lo spunto, il pretesto allo sviluppo di una
riflessione su altri piani. È una superfluità carica di senso ermeneutico,
perché attinge alle fonti della Verità.
Possiamo approfondire ulteriormente la portata di questa espressione, se
sostituiamo al termine “niente” il suo sinonimo analogico, “nihilismo”: così
otteniamo l’espressione “meglio del nihilismo” – laddove, rammentiamolo, per
«nihilismo» intendiamo essenzialmente una tendenza dissolutiva. L’espressione,
pur restando sostanzialmente analoga all’originaria, assume maggiore
perspicuità ermeneutica, andando ad indicare ciò che si sottrae e/o si vuole
sottrarre dalla dissoluzione: nel primo caso, s’intendono degli enti; nel
secondo, s’intende piuttosto un gesto della volontà informata al Bene, cioè
dalla consapevolezza di salvaguardarsi dall’attrazione dissolutrice del Male.
È alla luce di questa volontà di salvaguardarsi dal nihilismo che dovremmo
interpretare l’opera scritta da Danilo Breschi, recante appunto il titolo Meglio di niente, pubblicata nel 2017.
Il suo sottotitolo, “le fondamenta della civiltà europea”, annuncia poi quale
sarà l’oggetto delle sue premure. Le fondamenta sono ciò su cui si regge un
edificio: senza fondamenta, l’edificio crolla. L’edificio in questione è quello
della civiltà europea, le cui fondamenta – quattro, come per ogni civiltà (p.
10): la storia, la politica, la religione, l’educazione – stanno traballando. E
stanno traballando proprio a causa del nihilismo che si è insediato nei cuori
di molti cittadini europei occidentali, imprimendo ai loro atteggiamenti
mentali, personali e sociali il suo marchio di dissoluzione.
Secondo Breschi, il nihilismo starebbe risalendo i corsi della quotidianità,
per diffondere il suo veleno fino ai pozzi dai quali si attinge la
Weltanschauung di una comunità umana. Lo si rileva constatando che l’Europa
occidentale è tutta quanta avvolta da un’atmosfera che Breschi chiama
“declinista” (p. 5). Tale “declinismo” è una forma di ottundimento culturale e
civile; ma, soprattutto, è un corollario, per così dire, “sociologico”, del
nihilismo – del quale conserva l’essenziale tendenza dissolutrice. «Declinare»
è infatti un verbo afferente all’alveo semantico spazio-motorio, significando
“piegare in basso”; ma il termine, nel linguaggio ordinario, si carica anche di
sfumature valoriali nostalgiche, che suggeriscono rimpianto verso qualcosa che
si sta perdendo. E infatti, Breschi lo usa subito prima di sentenziare: «in
fondo, non ci amiamo» (ibid.). L’Amore è forza unitiva per eccellenza, in
quanto ricomprende le differenze per trascenderle in una sintesi che è unità di
grado superiore. In quanto forza unitiva, l’Amore si oppone al Niente, cioè al
nihilismo, che è forza dissolutiva. Ma, se non c’è più amore, perciò tutto
declina.
Non c’è più amore verso chi? Verso noi stessi, in quanto cittadini europei
occidentali. Ma chi eravamo noi cittadini europei occidentali, prima di
smettere di amarci? È proprio questa domanda a costituire la trama del discorso
di Breschi. Una trama che si sviluppa attraverso quattro tematiche principali,
che corrispondono alle quattro fondamenta di ogni civiltà, come abbiamo già
detto: la storia, la politica, la religione, l’educazione. Ognuna di esse ha
acquisito nel corso del tempo una fisionomia particolare, che le ha permesso di
reggere l’edificio della civiltà europea. D’altronde, a ben guardare, le
fondamenta sono l’edificio. Quella europea è una civiltà complessa, la più
complessa: tali e tanti sono stati gli apporti che nel corso della storia le
hanno dato forma, che sarebbe appunto impossibile separare le fondamenta
dall’edificio. Peggio: sarebbe sciocco; anzi, talmente sciocco da essere
malizioso. Eppure, pare che sia proprio ciò che sta accadendo oggi: ai vertici
della società europea vi sono politici che si fanno consapevolmente e volontariamente
– talvolta, alacremente – promotori del nihilismo, declinato come puntuale e
sistematica rimozione di tutto ciò che ha informato la civiltà europea: quella
certa, e non altra, storia; quella certa, e non altra, politica; quella certa,
e non altra religione; quella certa, e non altra, educazione (per scongiurare
ogni possibile equivoco: per “certa e non altra” intendo la peculiare
evoluzione storica della civiltà europea, non un momento specifico né una forma
specifica).
Breschi ama la civiltà europea: tutto il suo discorso vibra d’amore. Chi ama,
come abbiamo detto, si sottrae alle tendenze dissolutrici ed è cultore della
forma. Se la civiltà europea è un edificio integrato alle sue fondamenta, la
premura di chi la ama si traduce nel conservare quelle fondamenta. Ecco perché,
in definitiva, il discorso di Breschi può essere interpretato come un manifesto
sui generis del conservatorismo: un manifesto per richiamare tutti coloro che
amano la civiltà europea ad impegnarsi per essa – anzitutto riscuotendosi dal
torpore declinista ed aguzzando lo sguardo per sottrarsi alle trappole del
nihilismo.
Niccolò Mochi-Poltri
Data recensione: 02/12/2021
Testata Giornalistica: Il Pensiero Storico
Autore: ––