C’è stato un momento in cui peste, pandemie, contagi e virus spopolavano ai vertici delle classifiche di libri
C’è stato un momento in cui peste, pandemie, contagi e virus
spopolavano ai vertici delle classifiche di libri. Volontà di comprendere,
bisogno di esorcizzare e un po’ di curiosità morbosa dettavano le scelte dei
lettori in libreria, in biblioteca, nelle letture online. Oggi che siamo usciti
dalla quarantena e stiamo cercando una convivenza con il virus, l’onda lunga
del lockdown continua a mostrarsi nei titoli in uscita, soprattutto nei saggi
storici. Pier Paolo Benucci, storico e docente nelle scuole superiori, si è
messo a lavorare dieci anni fa sulla peste che colpì Firenze nel 1630, la
“grande peste” narrata dal Manzoni nei Promessi
sposi; il risultato delle sue ricerche esce oggi per Mauro Pagliai editore
con il volume intitolato “La grande peste del 1630 a Firenze”, novantasei
pagine in cui a lasciare stupefatti sono soprattutto le similitudini con la
pandemia da coronavirus; contesti, provvedimenti, rimedi e soluzioni di allora risultano
così somiglianti a quelli odierni che sembrano saldare, attraverso quattro
secoli, la Firenze seicentesca a quella di oggi. Quando nel 1630 la città venne
raggiunta dal contagio, erano cento anni che non si aveva a che fare con
un’epidemia così devastante: nessuna soluzione a portata di mano perciò, o protocolli
a cui aggrapparsi. Il granduca Ferdinando II, figlio di Cosimo II de’ Medici,
ha solo vent’anni mentre la peste portata dalle truppe imperiali si espande
velocemente al nord colpendo Milano, Verona, Bologna, Parma, e le autorità
politiche e sanitarie si dividono in due partiti, quello dei pessimisti e quello
degli ottimisti. Firenze sbarra i passi sull’Appennino tosco-emiliano bloccando
anche i propri commerci, e ad ogni porta della città monta i rastelli, delle
cancellate di legno presidiate da guardie armate che controllano le “bollette”
di Sanità, documenti metà a stampa e metà da compilare a mano in cui si afferma
di non essere malati proprio come in un’autocertificazione. È il primo lockdown
della storia: Ferdinando, affiancato dal consigliere Alfonso Brocardi, dispone
la quarantena universale in base alla quale la popolazione, ad eccezione di pochissimi,
deve rimanere chiusi in casa. «Nessuno in Italia aveva mai preso un
provvedimento così complesso, sistematico e costoso», racconta Benucci che
presenta anche una sezione dedicata alle cronache dell’epoca, ai diari e agli
epistolari tra cui quello di Virginia Galilei, la figlia suora del celebre
scienziato. Venne effettuato un rapido censimento – all’epoca a Firenze
vivevano 92mila persone – e si individuarono casi di affollamento malsano, tutte
le botteghe vennero chiuse e si organizzò la distribuzione dei viveri, si
proibirono processioni e manifestazioni pubbliche e mentre a Milano impazzava
la caccia dell’untore a Firenze si promossero iniziative di contact tracing
alla ricerca del paziente zero. Si comportò da “città scientifica” dice
Benucci, e infatti gli effetti furono più contenuti che al nord, dove alcune città
persero oltre la metà della popolazione.
Data recensione: 01/10/2020
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Elisabetta Berti