Insieme stanno e insieme, forse, un giorno cadranno: ma per ora l’aquila bicipite dello stemma russo sembra identificarsi con loro due
Il patriarca ortodosso
fedele alla linea di Putin. La Chiesa benedice e sostiene lo Stato etico
Insieme stanno e insieme, forse, un giorno cadranno: ma per ora l’aquila
bicipite dello stemma russo sembra identificarsi con loro due, Vladimir Putin e
il Patriarca Kirill. Perché il presidente della Federazione e il capo della chiesa
ortodossa di Mosca marciano fianco a fianco nella costruzione di un progetto
politico culturale su scala planetaria. I lineamenti della loro alleanza
emergono chiari nell’ampia intervista che Kirill ha rilasciato al giornalista
Francesco Bigazzi e che ora appare con il titolo La missione dei cristiani nel mondo per l’editore Pagliai. Dove il
modello tradizionale di collaborazione fra trono e altare, cioè il Cremlino e la
chiesa ortodossa, si traduce in un manifesto teologico e ideologico, rivolto a
tutti coloro che intendono opporsi al mondo liberale di matrice occidentale.
Colpisce la schiettezza di Kirill, a suo modo paragonabile a quella di Bergoglio,
ma in realtà affine allo spirito combattente di Wojtyla: nessun compromesso con
lo spirito laico del tempo, difesa dei valori conservatori tradizionali,
affermazione della identità nazionale russa e rivendicazione del ruolo pubblico
della religione, definita «pilastro e partner dello Stato». Sullo sfondo, la
sfida decisa alle velleità indipendentiste della chiesa ucraina, al punto da
annunciare lo scoppio di una vera e propria guerra di religione, la prima dopo
molti secoli entro i confini dell’Europa.
Non bisogna pensare a una riedizione del vecchio sistema sovietico in cui il
Patriarcato funzionava da ruota di scorta del regime, tollerato purché non
interferisse nella vita politica, e largamente infiltrato dai servizi segreti
del Cremlino. I tempi sono cambiati e Kirill invoca una «non interferenza
reciproca nei rapporti fra Stato e Chiesa», si fa promotore di una forte spinta
ecumenica, maturata durante la sua esperienza di ministro degli esteri del Patriarcato,
esalta come epocale l’abbraccio con Papa Francesco dell’Avana, primo passo
verso il superamento del grande scisma avvenuto nel 1054. Ma si capisce che il
suo vero alleato naturale, di poco più giovane e figlio come lui della vecchia
Leningrado sovietica, non può che essere Vladimir Putin. Con lui, spesso
ritratto al suo fianco nelle manifestazioni pubbliche solenni, Kirill condivide
l’idea di uno Stato etico, nel quale l’uno «lavora per salvare l’anima»,
l’altro «per l’educazione morale dell’individuo ». Dunque: no all’idea di
abbassare l’età minima per il matrimonio, no all’aborto, rifiuto incondizionato
delle unioni omosessuali e dell’eutanasia, approvazione dell’uso della forza
contro il terrorismo, ruolo centrale ecclesiastico nell’educazione a scuola e
nella assistenza spirituale alle forze armate, introduzione della teologia,
alla pari con psicologia e filosofia, nei curricula
universitari, pieno consenso all’enciclica di Papa Francesco sul rapporto
fra difesa della natura e moralità umana.
L’avversario individuato da Kirill ha due facce: da un lato la globalizzazione che
corrode le specificità nazionali, dall’altra il relativismo che porta con sé il
soggettivismo assoluto e cancella l’idea del peccato: porre i diritti
individuali al di sopra della parola di Dio è per lui «una eresia globale». Di
qui l’affermazione, che suona certo inusuale alle orecchie occidentali, della
Tradizione come «gene sociale» che aiuta a preservare il concetto stesso di
verità assoluta, trasportando le informazioni indispensabili «da una generazione
all’altra». E poiché nessun modello di civiltà è universale, non lo è nemmeno
quello liberale, imperniato sui diritti umani: al contrario, questi ultimi
possono servire da «armi politiche e propagandistiche » per ledere la sovranità
di uno Stato, o anche per minare dall’interno i valori della tradizione (come,
per fare un esempio, rivendicare il sacerdozio femminile).
Ecco, il protestantesimo radicale e laicizzato, simboleggiato dalla chiesa
episcopale americana e da quella luterana di Svezia, sono per Kirill i sintomi
di una malattia spirituale da cui è necessario preservare l’ortodossia. Ma non
per chiudersi entro i propri confini: il messaggio è al contrario di forte
proselitismo da perseguire in tutto il mondo, a cominciare dai Paesi asiatici
post- sovietici, dove la chiesa di Mosca si propone di contrastare l’estremismo
islamista. E poi in Brasile, Paraguay e in genere in America Latina, per
passare alla Cina e al Medio Oriente, tutti luoghi in cui l’attivismo ortodosso
è in forte crescita. Diverso è il capitolo dell’Ucraina, dove le spinte
nazionaliste locali hanno portato al distacco della chiesa di Kiev da Mosca,
per ritornare sotto la storica protezione del Patriarca Bartolomeo a
Costantinopoli. Kirill denuncia intimidazioni, chiusura di chiese fedeli a
Mosca, passaggi forzati di altre – si parla già di oltre duecento–-
all’obbedienza ucraina. Una catastrofe «fratricida» – secondo le sue parole –
dietro la quale non è difficile intuire l’appoggio ai separatisti filorussi del
Donbas.
Perché, e qui forse si annida l’aspetto più destabilizzante del progetto del
Patriarca di Mosca, l’ortodossia è proclamata come base etica del popolo russo.
Ma quali sono i suoi confini? Non quelli della attuale Federazione
post-sovietica, bensì altri, molto più ampi, da identificarsi col «mondo russo
multinazionale », e dunque estesi non solo a Bielorussia e Ucraina, ma anche a Serbia
e Bulgaria, ai Paesi asiatici e nordafricani dove i cristiani sono minacciati
dai musulmani, e fino alle minoranze russofone, inquiete, dei Paesi baltici.
Il manifesto conservatore di Kirill è un asso nella manica del Cremlino, da
calare sul tavolo dei grandi giochi internazionali. Essenziale nell’assetto del
potere putiniano, e importante anche in politica estera, per via della forza di
attrazione che esercita sui sovranisti dell’Occidente. In questa prospettiva,
il presidente della Russia e il suo Patriarca si affiancano ma anche si
fronteggiano, ben consapevoli delle utilità reciproche, ma anche del fatto che nessuno
dei due può fare a meno dell’altro.
Data recensione: 28/02/2019
Testata Giornalistica: Il Giornale
Autore: Dario Fertilio