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Pietro Spirito è in trasferta. Una trasferta rischiosa ma dall’esito assai felice. Lo scrittore triestino che conoscevamo

‘Se fossi padre’ è l’ultima fatica letteraria di Pietro Spirito, una raccolta di racconti, editi da Mauro Pagliai editore,  per capire quanto radicali siano stati i cambiamenti nel campo dei sentimenti familiari. Una declinazione tutta al maschile che permette di analizzare il conflitto generazionale, il motivo dell’autorità, dell’antagonismo, della sfida tra padri e figli. Dalle pagine della rivista ‘Il Ponte Rosso’ ce ne parla Fulvio Senardi.

Pietro Spirito è in trasferta. Una trasferta rischiosa ma dall’esito assai felice. Lo scrittore triestino che conoscevamo fedele all’arte del romanzo, il genere che ha sempre prediletto e dentro il quale si è talentuosamente evoluto dai primi esperimenti nella scia di Gadda e di Consolo all’affabulazione cordiale degli ultimi libri, ha deciso di proporsi ai lettori con un volume di racconti: i tredici di ‘Se fossi padre’. Di essi è lo stesso Spirito a offrire giustificazione e cornice in una breve nota in cui lamenta lo “sostanziale smarrimento della prospettiva della paternità” nell’Occidente dell’ultimo secolo, ipotesi che lo spinge a sondare “l’immenso mare in tempesta che può unire e dividere padri e figli”.
Il tema non è peregrino ma consustanziale alla nostra stessa civiltà: del resto per capire quanto radicali siano stati i cambiamenti nel campo dei sentimenti familiari lungo la storia dell’Occidente cristiano basta sfogliare un classico della storiografia, il Padre e figli nell’Europa medievale e moderna di Philippe Aries così attento all’evoluzione della società a partire dalla (tardiva, siamo alla fine del Medioevo) “scoperta” dell’infanzia come età autonoma, con tutto ciò che questo ha implicato nelle pratiche della genitorialialità.
Quel libro esce in Italia otto anni dopo la prima edizione francese, ovvero nel 1968. Come a dire: la lingua (la lingua degli studiosi) batte dove il dente duole. È da allora che il termine “conflitto” relativamente al rapporto tra padri e figli ci pare normale ed adeguato. Insomma un tema forte, perché non riguarda solo le convinzioni ideali che ovviamente separano, a volte in modo estremo sempre con drammatici risvolti, le differenti generazioni (…) ma qualcosa di più importante e sottile, il “sentimento” dell’altro nel contesto di un rapporto intergenerazionale, che come ha ricordato spesso lo psicologo Recalcati, ha visto estinguersi il ruolo antico del padre-padrone senza schiudere nuove prospettive ma trascinando ingombranti sedimenti.
Risultato? Figli e padri smarriti e soli, con contrastanti esigenze di libertà e controllo, alla ricerca della soluzione che sfugge nella vita “liquido-moderna”, per dire con Zygmunt Bauman. Possiamo anche popperianamente diffidare della psicoanalisi (…), ma le considerazioni di Freud sull’Edipo, che ha il merito di aver scoperto, e, ai limiti del mito, la visione della società come terreno di scontro dei vecchi e dei giovani (Totem e tabù), sono messaggi da meditare: il racconto di Freud di come i fratelli prima uccidano poi si immedesimino nel padre dando inizio alla civiltà nel segno della colpa, del rimorso e dell’idealizzazione, bastano a mostrare la centralità del tema, con la sua carica di ambivalenze e di angoli oscuri (proprio come la letteratura).
Detto questo ritorniamo a ‘Se fossi padre‘, riconoscenti a Pietro Spirito per come si pone in ascolto di ciò che rende complicata e difficile la più normale quotidianità. Lo scrittore non assume pose dottrinali né sale in cattedra con fare saccente ma, con la scrittura accattivante che ormai gli conosciamo (…) rigira il suo oggetto da ogni lato, per farcene vedere le sfaccettature. È il compito della letteratura: avvicinarsi alla realtà e ai suoi problemi con curiosità dell’umano troppo umano che ci rende così ricchi e fragili, così unici ed esemplari: “ogni vita è come una musica”, suggerisce un personaggio di Spirito, certo un portavoce dello scrittore, “anzi un’improvvisazione jazz, complicata e avvolgente, una presa di coscienza per gradi, una faticosa ricerca di accordi e sintonie, e ci sono brani tristi e brani allegri, ritmi che durano pochi minuti e suite che non finiscono mai, sessioni memorabili e pezzi che saranno subito dimenticati”.
Oltre che stilistico lo strumentario del narratore, sul filo di una sensibilità acuita dall’essere lui stesso padre (…), è psicologico ed esistenziale, senza ambizioni di rubare il mestiere allo studioso di letteratura o allo storico (di cui pure non gli mancano le competenze).
Quanto a Spirito, un tema troppo circoscritto si potrebbe pensare; in realtà, sul filo del rapporto tra padri e figli, lo scrittore dipana la matassa ben più complessa della condizione umana, dove la forza trascinante del desiderio, i cavalli del mito platonico, devono vedersela con le deboli forze dell’auriga: ne scaturisce un groviglio di contenuti emotivi, di fantasie inconfessabili, di angosce cui è il rapporto generazionale a fare da catalizzatore, a marcare l’impronta.
Per fare un esempio: proverebbe il protagonista del primo racconto una sensazione così soffocante della propria inadeguatezza di padre se avesse impiegato quell’attimo nel quale perde di vista Gianni non per telefonare all’amante (e caso vuole che il figlio proprio allora sparisca in luoghi che la notte tinge di insidie e di pericoli: un’esperienza che ogni genitore ha provato), ma che so, per andare alla toilette o a pagare il conto?
È impegnativo il mestiere di padre, e mancano modelli cui potersi serenamente affidare: il “padre primordiale” imporrebbe obbedienza, ma quei tempi sono tramontati. Peraltro abile Spirito a tenersi su un crinale rigorosamente “patri lineare” (qualche lettrice resterà delusa): la declinazione esclusivamente maschile del conflitto generazionale permette nei racconti di esasperare il motivo dell’autorità, dell’antagonismo, della sfida.
Ciò non significa però mirare necessariamente all’esito tragico: il tema della tenerezza non è assente da questo libro, e si coniuga spesso con un’ansia di ricerca e con un bisogno perfino straziante di identificazione e protezione. Ciò imprime ad alcuni racconti un marcato dinamismo. In altri invece (…) la conclusione è una di quelle, per dirla con Pirandello, che non conclude (della «vita [che] è tutta una stupidaggine, sempre, perché non conclude mai e non può concludere» si ragiona nei Quaderni di Serafino Gubbio): la linea narrativa non ritorna su se stessa, con un beffardo voltafaccia (…) ma semplicemente allude ad una quieta routine che va ristabilendosi. Un grigiore infondo benaccetto. Il melodramma o la tragedia, per fortuna, sono spesso fuori portata dell’umanità dei nostri giorni nelle plaghe fortunate dell’opulenza europea (…). L’ultimo racconto, La bicicletta, sigilla il lungo discorso con una costruzione simbolica saggia e rassicurante.
Non temano i padri di oggi (e di domani): non vi è nella vita “una formula infallibile. Basta un piccolo inciampo, un sasso fuoriposto, un chiodo abbandonato, una buca nascosta e il capitombolo è in agguato”. Vale per gli uni (i padri) e per gli altri (i figli), ma il percorso, per arduo che sia, è una sfida che merita accettare.
Non so, per chiudere, se l’ampio ventaglio aperto da Spirito per dar conto di una condizione cruciale dell’uomo d’oggi, da quando il rapporto padri-figli è diventato tema consapevole, occasione di ripensamenti e pentimenti, avrebbe potuto così variamente articolarsi se egli avesse scelto lo strumento del romanzo, che implica una serie rigorosa di nessi condizionanti (…). Qui, nel difficile mondo della forma breve (nel quale tutto dev’essere calibrato alla perfezione ed ogni parola conta come se da ciascuna di esse – ed è assai vero – dipendesse l’effetto complessivo) si misura al meglio l’istinto dell’artista. Nel racconto: un sofisticato microcosmo in cui, come diceva Flaubert, lo scrittore deve essere presente dappertutto, ma visibile in nessun luogo.
Data recensione: 26/11/2018
Testata Giornalistica: Altritaliani.net
Autore: Fulvio Senardi