Che identità è quella di un padre? Indubbiamente culturale, prima che biologica. Ma anche lì
Che identità è quella di un padre? Indubbiamente culturale,
prima che biologica. Ma anche lì, nella dimensione fatta di responsabilità
concettuale, quella in fondo a cui un padre è educato, le cose non sembrano più
andare bene. L’idea di identità paterna, non a caso, ha dato il via a un
energico dibattito, nel terzo millennio, con una precisa accusa: l’assenza, in
qualche misura, di questo profilo, complici molti elementi come la perdita di
equilibrio nei ruoli di coppia. Ma questo è un appannaggio della sociologia,
della psicoanalisi, forse della filosofia.
La letteratura fa un altro mestiere, si insinua nel
problema e in maniera empatica – non concettuale – ci trascina nella questione,
ce la fa vedere da diverse prospettive, riconoscendoci in questo o in quel
personaggio finché alla fine, la domanda che ci restituisce è: siamo padri?
Siamo figli? Chi siamo? Nei tredici racconti di “Se fossi padre” (Mauro Pagliai
editore, pag. 118, euro 9), dello scrittore e giornalista Pietro Spirito, si
delineano diversi profili di un’identità che, in fondo, può avere a che fare
con un ruolo biologico, ma anche no. Spirito pare far saltare le coordinate di
certi legami, o meglio li evidenzia nei suoi limiti o nella ricerca ossessiva
di una radice identitaria, come è ben evidenziato in “Romedio”, personaggio che
scoprirà solo dall’ultima confessione della madre di essere stato adottato, da
cui la corsa per inseguire un’origine che ci possa dire meglio chi siamo, nulla
è mai sufficiente per capirlo, anche se fondamentalmente un dna diverso non
cambia le cose. Ma la spinta alla richiesta di un senso è irrinunciabile: “Guardate
Romedio – dice la voce narrante – sta entrando in un labirinto dal quale non
potrà più uscire”. Il senso, appunto, il significato di quel che si è, appare
in modo energico in tutti i racconti, legato al filo di una paternità sempre in
bilico, sempre sul crinale di un fallimento o decisamente fallita: padri
anaffettivi, irresponsabili, frustrati, proiettivi; insomma padri che in
qualche modo segnano individualità future, più o meno consapevoli di non capire
la propria. Spirito è narratore raffinato, ed eclettico, finalista al premio
Strega con “Speravamo di più” (2003), da poco ha pubblicato anche il romanzo “Il
suo nome in quel giorno” (Marsilio), sempre sul tema di una ricerca identitaria.
Ma in “Se fossi un padre” la questione si fa più collettiva, soprattutto in
racconti come “Memorie di un falsario”, “Ospedale Cardarelli”, “A pesca”, o
“Romedio” dove al tema si coniuga anche l’abbandono al tradimento (sempre
maschile) quale strappo e lacerazione, ma anche sconfinamento in altre
questioni: l’abitudine, il matrimonio, la necessità di vitalità ossessiva per
esorcizzare la morte. Il tutto con uno stile fluidissimo, e letterario, capace
anche di curvare il fraseggio a forme più nevrotiche, dal timbro pop, come in
“Alle 6.30 di domenica”, narrazioni volte a farci intendere la prima frattura,
il primo distacco, “la prima misura della distanza dalle cose”.
Data recensione: 16/04/2019
Testata Giornalistica: Il Gazzettino
Autore: Mary Barbara Tolusso