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Se Firenze è la città che conosciamo oggi, se abbiamo il David di Donatello, la Venere del Botticelli e gli altri tesori che, ogni giorno, vengono ammirati da turisti provenienti

Se Firenze è la città che conosciamo oggi, se abbiamo il David di Donatello, la Venere del Botticelli e gli altri tesori che, ogni giorno, vengono ammirati da turisti provenienti da ogni parte del mondo, lo dobbiamo a una donna: Anna Maria Luisa, l’ultima della famiglia Medici. Non potendo partorire un figlio, Anna Maria Luisa dei Medici “dà alla luce una visione: che nulla dei tesori di famiglia sia trasportato e levato fuori dalla capitale. Che quadri, statue, biblioteche e gioielli di una dinastia ormai esausta, rimangano in città per conservare l’ornamento dello Stato, l’utilità del pubblico e per attirare la curiosità dei forastieri”. Lo scrive Daniela Cavini, giornalista fiorentina, nel suo ultimo libro, “Le magnifiche dei Medici”, (Mauro Pagliai Editore, pp. 96, euro 10, illustrato a colori, con prefazione di Paolo Ermini), dodici ritratti di donne che hanno fatto parte di quella dinastia. Ma che sono poco conosciute.
Fu una donna a salvare le finanze medicee, consegnando a Lorenzo il Magnifico i denari per fare di Firenze la ‘città ideale’. Anche dietro al genio del granduca Cosimo I c’era una donna, che dedicò la vita alla ‘costruzione’ del principe per poi ritirarsi nell’ombra. Fu una donna a riportare i Medici a Firenze, dopo la cacciata del 1494, e un’altra donna assicurò alla città il patrimonio di famiglia – quadri e statue, mobili e gioielli – evitandone la dispersione per le corti europee. Lucrezia Tornabuoni, Eleonora di Toledo, Alfonsina Orsini e l’elettrice palatina Anna Maria Luisa sono solo alcune delle protagoniste del libro di Daniela Cavini.
Le donne della famiglia Medici sono poco conosciute: in un mondo amministrato e raccontato per secoli dagli uomini, ai ritratti di spose votate alla procreazione si dedicano normalmente poche righe. Se invece fanno parlare di sé, spesso è perché sono giudicate malvagie, pericolose, magari attratte dal potere: un campo di caccia tradizionalmente riservato alle loro controparti maschili. Ma i dodici profili tracciati dall’autrice volgono in un’altra direzione: guardando con empatia alle vicende umane di donne calate per nascita o matrimonio nei ranghi della più prestigiosa stirpe italiana, queste storie fanno emergere il carattere di ciascuna, il perché delle scelte, la radice oscura di un dolore o di un errore.
Il libro di Cavini non vuole giudicare, ma raccontare, facendo intuire cosa significhi sacrificare tutto per quel cognome a volte indossato come un giogo, altre impugnato come una spada. Al tempo stesso suggerisce che, in momenti cruciali della vicenda medicea, sono state proprio loro le “magnifiche” a impedire il naufragio, a mantenere la rotta. Talvolta, anche a rimettere in piedi la dinastia.
Partiamo dalla copertina: perché la scelta di Caterina Sforza?
Tra le dodici donne, è quella che mi ha sorpreso di più. Di Caterina mi è piaciuta la forza,il coraggio. L’anticonformismo. Mi piaceva molto anche il ritratto che abbiamo messo in copertina, questa parte del quadro di Sandro Botticelli che non viene mai guardata abbastanza. E’ un bellissimo dipinto e lei una donna davvero notevole. Ha avuto la fortuna di avere un Botticelli che l’ha immortalata, magari un po’ somigliante alla Simonetta Vespucci...
Ma tra tutte ce n’è una che le piace di più?
Non una in maniera particolare. Di ognuna mi piace l’aspetto umano, che ho ricercato in tutte. Ho fatto fatica a trovare notizie su alcune di loro, soprattutto per il periodo iniziale dell’ascesa della famiglia. Dietro ad ogni ritratto c’è stato un gran lavoro di ricerca sui libri, e persino in biblioteca.
C’è almeno una che si avvicina a una donna contemporanea, all’ideale di donna che abbiamo oggi?
Verrebbe da chiedersi: qual è l’ideale di donna che abbiamo oggi? Credo che le donne siano in una crisi profonda: hanno ottenuto molto, ma non sono ancora riuscite a convincersi che possono farcela. E forse si chiedono troppo, sono ancora prigioniere del proprio giudice interiore, di un atavico senso di inadeguatezza. Continuano a guardarsi dentro, a mettersi in questione. Forse uno dei personaggi più moderni è proprio Caterina Sforza: lei non si ferma davanti alle convenzioni, non si rinchiude in un ruolo, non si rassegna a fare la vedova, non si limita a fare la madre. Si sposa tre volte, decide che ha una missione da compiere, la responsabilità della sua terra, difende Forlì dall’aggressione del Valentino con la spada in pugno, ma viene fatta prigioniera, e paga un altissimo prezzo personale per il suo anticonformismo. Un’altra donna “moderna” è la figlia di Cosimo I, Isabella, che viene uccisa nella Villa di Cerreto Guidi.
Di Isabella, purtroppo, è contemporanea anche la storia.
Infatti nonostante una recente teoria, io continuo a pensare che Isabella sia vittima di un femminicidio: anche lei ha un carattere molto indipendente, è una donna libera. Si innamora di un uomo che non è suo marito. Ma finché il padre è in vita e la protegge, non le succede niente. Poi le cose precipitano, complice anche una congiura contro i Medici, in cui cade anche il nome di Isabella. La principessa viene uccisa a pochi giorni di distanza dalla cugina, e temo per gli stessi motivi. Fin troppo facile guardare al marito, ma anche la mano del fratello non è estranea a questo gesto di violenza, probabilmente consenziente. Un femminicidio operato da uomini cui non va giù la libertà, la forza di questa donna, che anima un forte movimento culturale, lontano dagli stretti confini imposti dalla Controriforma. Forse è lei, Isabella, l’ultima, vera erede del salotto di Lorenzo il Magnifico. E penso che venga punita perché è troppo di più di quel che dovrebbe essere.
Tutte queste sono storie di amore o solo di affari?
Sono donne che non si sposano per amore, servono alla famiglia per l’ascesa sociale, vengono scelte in modo preciso per il cognome che portano, per il prestigio che riescono a convogliare sui Medici e di cui i Medici hanno bisogno. Parliamo dei Tornabuoni, con cui si conquista l’aristocrazia fiorentina, poi degli Orsini, con cui si sbarca a Roma mirando al Papato. E così via, è una scalata sociale a colpi di nozze. Poi ci sono anche le eccezioni, a volte l’amore cresce nei sentieri più impervi, penso a Maria Salviati, alla stessa Bianca Cappello. E ancora, è Cosimo a scegliere Eleonora di Toledo, perché la preferisce alla sorella, che gli era stata assegnata in sposa originariamente. Ma la regola è il rispetto di interessi economici e dinastici a cui tutte queste donne, senza eccezione, si devono inchinare. Le ribellioni sono davvero poche.
Data recensione: 27/11/2017
Testata Giornalistica: StorieOggi.it
Autore: Emilio Chiorazzo