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Per esplicita dichiarazione dell’autrice, Le geometrie dell’amore di Caterina Ceccuti è romanzo che nasce da un «intricato guazzabuglio di sogni, sentimenti, ideali

Per esplicita dichiarazione dell’autrice, Le geometrie dell’amore di Caterina Ceccuti è romanzo che nasce da un «intricato guazzabuglio di sogni, sentimenti, ideali, emozioni, speranze»; né potrebbe essere diversamente trattando di personaggi che si trovano ad attraversare il tempo. Come appunto Silvia Liguori, ventitreenne studentessa alle prese nel 2010 con una tesi di laurea in Media e Giornalismo su un argomento «curioso, misterioso»: Il caso Morelli attraverso la stampa dei primi del ʼ900, scelto in seguito all’imbattersi in un articolo apparso sul periodico fiorentino «Bric à Brac» il 25 agosto 1910 dedicato al ventiquattrenne Nicanore Morelli accusato di barare al gioco per le sue sconvolgenti, inspiegabili vincite, senza però mai riuscire a provarlo.
Una vicenda cui Silvia s’appassiona sempre più, sino a «innamorarsi» non solo dell’argomento, ma pure del personaggio e infine della persona stessa di Nicanore. Che è quanto accade allorché, recandosi a Castiglioncello per raccogliere ricordi familiari e di «paese», incontra la nipote Serena, che ha conservato alcuni oggetti tramandati in famiglia da generazioni, tra i quali alcune lettere, ma soprattutto un vecchio orologio da taschino, dal quale Silvia resta tanto assorbita da ritrovarsi proiettata, senza rendersene conto, nel 1910. Dove, tra il 25 ottobre e il 14 novembre, s’imbatte in Riccardo Sirigatti, giornalista sportivo del «Bric à Brac», cui il direttore ha pure affidato una «Rubrica del Sovrannaturale», e in tale veste già protagonista del precedente romanzo della Ceccuti, La generatrice di miracoli (Mauro Pagliai, 2014), ove intervistava Teresa R., a tutta prima nulla più che un’anziana signora che abita un casale diroccato sulle colline toscane, salvo rivelarsi portatrice del dono della guarigione «da qualsiasi sofferenza» se toccati dal palmo della sua mano.
Vicende che mettono quanto mai in crisi un personaggio scettico, se non addirittura cinico, come Sirigatti; che si trova ora di fronte il caso incredibile d’una giovane dai vestiti «non consoni a una ragazza, pantaloni stretti, una giacca maschile di lana scura», che parla masticando di continuo caramelle, e può provare che viene dal 2010 mostrando una moneta da due euro e anticipandogli alcuni accadimenti dei giorni successivi.
Di qui una vicenda che viene via via acquisendo un ritmo sempre più stringente, calibrato su tre momenti portanti. La storia personale e familiare di Nic Morelli, del suo destino segnato dalla forte personalità del nonno e poi dai raggiri Giosuè Aglietti, lo psicologo esperto in fenomeni sovrannaturali cui si consegna per affinare quei poteri extrasensoriali capaci di creare illusioni agendo però sugli oggetti, e non sulle menti; e delle motivazioni delle sue criticate scelte di vita. Quindi il «romanzo intimo» di Nic e Silvia. E, quale collante, il travaglio psicologico di Sirigatti, che, sempre più coinvolto da Silvia, si trova a far «presente che quanto mi si chiede adesso non è più solo la semplice narrazione dei fatti, ma addirittura la partecipazione attiva a una vicenda di cui non ho ancora capito un accidente»: tra curiosità riguardanti Nic, voglia e difficoltà nel capire i meccanismi dell’attraversamento del tempo, scetticismo e cedimenti al credere.
Atteggiamenti che decide di confessare pubblicamente sul «Bric à Brac». Che è l’aspetto strutturale del romanzo, i cui capitoli corrispondono agli articoli che, dal Prologo del 30 novembre 1910 alla Parte decima dell’8 febbraio 1911, Sirigatti viene settimanalmente pubblicando e nei quali egli narra dei suoi incontri con i due ragazzi; del suo istinto da segugio andando a ricercare il personaggio all’origine della sofisticazione dei poteri mentali e illusionistici di Nic; delle sue stesse iniziative per favorirli presso il commissario Sandoné; specie quando si emoziona per il timido e tenerissimo innamoramento che vede affiorare tra Silvia e un Nic nel frattempo finito in prigione per una rissa, nella quale rischia di essere ucciso ‒ questa la previsione di Silvia dal suo 2010, che vuole assolutamente evitare.
Un romanzo che sa ben governare quel «guazzabuglio», cui avrebbe giovato qualche limatura nelle discussioni e una suddivisione nella Parte settima (troppo lunga come articolo di rivista), ma che ha il pregio di non perdere, sino alla fine, non svelabile, in tensione narrativa ed emotiva; e di attento lavoro sul piano linguistico: tra lo «strampalato modo di esprimersi di questa giovane», l’espressività giornalistica tinta di appropriatezza letteraria di Sirigatti, il «non detto» di Nic, «che nel caso suo non significa assenza di suono, ma eloquente espressione d’un modo tutto personale di rapportarsi al mondo, persino di comunicare con esso» dovuto alla costante ricerca, come il nonno. E dove, più che il tema romanzesco della possibilità di ridisegnare quanto già accaduto nel passato, al centro sta il tema del male che alligna in noi: la responsabilità di usare bene o male un dono che di per sé ha del «miracoloso»; e il difficile equilibrio tra male e bene anche quando si agisce a sostegno di quest’ultimo.
Data recensione: 27/08/2017
Testata Giornalistica: Corriere della Sera - La Lettura
Autore: Ermanno Paccagnini