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Non essere mai diventato «mitico», eppure emergere, forte soltanto della propria bravura e della qualità eccelsa dei suoi quadri, in un’epoca di veri miti. Il primo dei quali

Maurizia Tazartes dedica un libro al grande pittore che lavorò come agente segreto, fu più litigioso di Caravaggio, e la cui fama fu messa in ombra dalla radicale, estrema e disinibita figlia Artemisia

Non essere mai diventato «mitico», eppure emergere, forte soltanto della propria bravura e della qualità eccelsa dei suoi quadri, in un’epoca di veri miti. Il primo dei quali fu Caravaggio, alla cui seduzione, come un’intera età dell’arte, non si poté resistere. Il secondo mito lo generò egli stesso, perché sua figlia Artemisia diventò subito, e poi per sempre, più celebre di lui, pittrice estrema, radicale, in un turbolento mondo di pittori. Questo il destino di Orazio Gentileschi (1563-1639), pisano di nascita e romano ed europeo per vocazione, e per necessità.
Ne racconta la travagliata esistenza, con un gusto della narrazione adeguato al grado intensamente romanzesco di quel periodo, ma anche con l’acutezza della visione critica delle opere, Maurizia Tazartes nel suo bel libro Orazio Gentileschi, «Astratto e superbo toscano» (Mauro Pagliai Editore). Dove, tra virgolette, c’è la definizione che del pittore diede Roberto Longhi, il quale lo apprezzò come «il più meraviglioso sarto e tessitore che mai abbia lavorato tra i pittori». Ecco allora il «sarto» che con la sua numerosa famiglia vive in due stanzoni, tra le bettole di via Ripetta e il Babuino, là dove si aggira uno ancora più litigioso di lui, Caravaggio, il genio che non coltiva allievi ma produce seguaci come materia prima. Dal lombardo il nostro artista assume il dovere della verità e della naturalezza, non la teatralità della tragedia. Però nessuno, come Gentileschi, saprà screziare di colori cangianti e luci radenti le figure.
Poi c’è Artemisia, diciottenne chiacchierata e disinibita, Orazio ne è gelosissimo. È lui a denunciare il suo amico-rivale Agostino Tassi con l’accusa, famoso il processo, di averla stuprata. L’esistenza di Gentileschi si dipana poi tra città diverse, Genova, Parigi, Londra (dove avrà missioni da agente segreto), spesso all’ombra di altri giganti, Rubens, Van Dyck. Nei nostri occhi restano i volti di sensuali Giuditte e Cleopatre, di stupende Madonne popolane, e soprattutto il corpo e il gesto di una Danae che quest’anno il Getty Museum di Los Angeles si è aggiudicato, da Sotheby’s a New York, per la bella cifra di 30,5 milioni di dollari, e che Gentileschi dipinse per il palazzo di Giovan Antonio Sauli, aristocratico erotomane genovese.
Data recensione: 03/08/2016
Testata Giornalistica: Panorama
Autore: Marco Di Capua