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Se, a dieci anni dalla morte, penso a Oriana Fallaci mi viene subito in mente l’immagine spagnola dell’«hombre vertical». Quello che se ne sta a schiena diritta e che si spezza

Pregi e difetti della scrittrice. Dalla sua Firenze ai viaggi nel mondo Nencini pubblica «Il fuoco dentro». L’intellettuale senza peli sulla lingua Se, a dieci anni dalla morte, penso a Oriana Fallaci mi viene subito in mente l’immagine spagnola dell’«hombre vertical». Quello che se ne sta a schiena diritta e che si spezza ma non si piega. Ecco, lei, donna, era un «hombre vertical», che credeva all’intelligenza e alla dignità, alla libertà e al coraggio. A dieci anni dalla morte, credo che tutti debbano darle questo riconoscimento, rendendo omaggio alla sua tenacia di combattente. Un’immagine a cui l’«Oriana Furiosa» teneva particolarmente visto che amava dire: «Sono un soldato. Lo sono fin da ragazzina. Vi è una lugubre dimestichezza tra me e le armi, tra me e la paura, il coraggio, la morte». Lo ricorda Riccardo Nencini, viceministro alle Infrastrutture e ai trasporti, scrittore e grande amico della giornalista fiorentina, attingendo all’archivio della memoria in una intensa «ricognizione» («Il fuoco dentro. Oriana e Firenze», Mauro Pagliai Editore, pp.176, euro 10). Al pari di altri testimoni (pensiamo ad Umberto Cecchi al suo «Oriana Fallaci. Cercami dov’è il dolore», con un «Invito alla lettura» di Franco Cardini, Mauro Pagliai Editore, 2013), Nencini mostra di aver profondo rispetto per la memoria e così evita di confezionare ad Oriana un abitino da santa «vergine e martire». Lei per prima, del resto, lo avrebbe sdegnato. Perché era una «toscanaccia»: arrogante, prepotente, polemica, aspra, bizzarra e bizzosa. Oriana era antipatica e fiera d’esserlo. E non a caso un suo libro è intitolato «Gli antipatici». Nencini ne trae una citazione a contrassegno dell’intenso profilo biografico: «L’obiettività non esiste. L’obiettività è ipocrisia, presunzione, poiché parte dal presupposto che chi fornisce una notizia o un ritratto abbia scoperto il vero del Vero. Una notizia, un ritratto non prescindono mai dalle idee, dai sentimenti, dai gusti di chi fornisce la notizia o il ritratto». Oriana era una che parlava «nudo e crudo» e che «si schierava». Davvero una «Penelope alla guerra», per citare il titolo di un altro suo libro. E lei, la guerra incominciò a combatterla presto, nella Firenze del ’44. Nencini ci racconta la città che «brucia» e Oriana che le dichiara un amore eterno. Lei è una ragazzina che fa la staffetta partigiana, nel caos dei contrapposti furori, tra i ponti fatti saltare dai Tedeschi, l’arrivo degli Alleati e i franchi tiratori fascisti che sparano dai tetti. Oriana viene da una famiglia antifascista, ha un grande rapporto di complicità col padre, Edoardo, si nutre di «pane e libri». Firenze è «sua». Se la porterà sempre in cuore, in Vietnam e a Città del Messico, in Libano e in Cambogia. Tra i grattacieli di New York. Eleggendo «l’Arno, lato Porta Romana, a residenza ideale permanente», scriverà: «Sono fiorentina. Sono toscana doc come i miei genitori, come i miei nonni e i miei avi e i miei arcavoli, nati e morti in Toscana». Firenze le ha dato tutto: l’adolescenza indimenticabile, i semi della libertà, dell’impegno civile, della rivolta, le idee e le immagini di una identità da difendere con le unghie e con i denti. Firenze, per Oriana, è l’Occidente. Quello che lei, a un certo punto e più che mai dopo la tragedia delle Torri Gemelle, vede minacciato a morte dall’Islam. E anche qui non ci sono «distinguo»: da tutto l’Islam. Dunque, con gli attentati e con gli immigrati. Ma il vero «cancro» - e l’Oriana che grida, inveisce, profetizza, dal 1992 fa anche i conti con quello «personale» e cioè col tumore che la corrode - sta nell’inerzia, nella pavidità, nel disarmo di un Occidente che non crede più in se stesso. E che per una sorta di libidine autodistruttiva spalanca le porte al nemico. Firenze, sconciata dalla presenza di immigrati sporchi, brutti e cattivi, e per nulla desiderosi di essere integrati, è l’emblema di questa resa senza condizioni, benedetta dagli alfieri del multiculturalismo. Ovvero da quegli intellettuali radicalchic che, se non la considerano una «matta da legare», poco ci manca. Così le «istituzioni», ognuna col suo carico, piccolo o grande, di «responsabilità», finiscono con l’emarginare la scrittrice. La fiorentina più famosa del mondo non meriterà neppure di essere insignita del «fiorino d’oro». Troppo fanatica, troppo intollerante - dicono. E i fiorentini da che parte stanno? E se «si indignano», come e in che misura ne danno testimonianza? Nencini ci racconta un’estrema battaglia e un’estrema solitudine. Su cui riflettere, cominciando col guardarci intorno.
Data recensione: 04/06/2016
Testata Giornalistica: Il Tempo
Autore: Mario Bernardi Guardi