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La vivacità e facilità narrativa con cui Maurizia Tazartes si muove dalle note biografiche del pittore caravaggesco, padre di Artemisia, alla sua attività artistica fa della monografia

La vivacità e facilità narrativa con cui Maurizia Tazartes si muove dalle note biografiche del pittore caravaggesco, padre di Artemisia, alla sua attività artistica fa della monografia su Orazio Gentileschi un romanzo pittorico in cui il racconto assume un’evidenza quasi figurativa. Ne discende la piacevolezza alla lettura anche per i non specialisti, senza rinunciare alla puntualità scientifica che chiarisce, grazie a importanti novità documentarie, punti oscuri della vita del pittore noto per il carattere difficile e litigioso, come la formazione tra Pisa e Roma o gli scambi con altri artisti, tra cui il nordico Gerrit van Honthorst, presente a Roma nel secondo decennio del Seicento. Della sua opera vengono fornite cronologie convincenti sulla base dei dipinti certi e significativi, oltre che delle scarne carte. Con l’autrice seguiamo, così, l’attività, ancora di marca tardo manierista tosco-romana, nei grandi cantieri cosmopoliti della Roma di Sisto V, dove poteva godere di committenti potenti come il furiere papale Cosimo Quorli, per cui realizzò gli affreschi nella Sala del Concistoro al Quirinale e nel Casino delle Muse a Montecavallo; per arrivare poi all’incontro decisivo col Caravaggio nel 1600, di cui fu tra i primi seguaci. L’originale interpretazione della poetica luministica del maestro farà di Gentileschi «il più meraviglioso sarto tra i pittori», come lo chiamerà Longhi per gli effetti serici e scintillanti di sete e drappi, con esiti straordinari come nella «Suonatrice di liuto» della National Gallery di Washington o nella «Danae» del Getty Museum di Los Angeles. Ma il pisano declinò in modo personale anche l’altra novità introdotta da Merisi, il suo metodo rivoluzionario per cui dipingeva dal modello: vive e reali sono infatti le sue Madonne e Giuditte, per cui posavano «fresche popolane romane», e proprio popolane come in scene di genere restano le seconde, rispetto alle sanguinarie eroine dell’Antico Testamento di Artemisia. La Tazartes indaga, quindi, i rapporti con i committenti delle Marche, gli sfuggenti, anche per disomogeneità stilistica della produzione, anni genovesi tra il 1621 e il 1624, e poi le prestigiose committenze europee, dall’enigmatico soggiorno alla corte della regina di Francia Maria de’ Medici a quello londinese, segnato da tensioni per la competizione con artisti come Rubens e Van Dyck, e dove Gentileschi si ritaglia pure l’inedito ruolo di agente segreto del re Carlo I, il cui scarso interesse per la sua pittura, però,finì per relegare l’italiano in un progressivo isolamento. La monografia, che si segnala, anche, per essere la prima italiana sul pittore e la prima, in generale, dopo quella di Raymond Ward Bissel del 1981, si conclude con un’efficace sintesi sull’eredità di respiro europeo dell’arte del caravaggesco: «Da ragazzo di bottega pisano a pittore europeo, Gentileschi lasciava in Inghilterra un piccolo bagaglio di opere dal linguaggio internazionale, uno stile limpido e aulico che sfidava la pittura dei più grandi maestri del tempo» (nella foto, Orazio Lomi Gentileschi, «Cleopatra», particolare, 1610-1612 ca, olio su tela, collezione privata).
Data recensione: 01/11/2016
Testata Giornalistica: Il Giornale dell’Arte
Autore: Silvia Mazza