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La guerra santa di Oriana. La guerra santa di Firenze e della Toscana. L’anatema della Fallaci all’Islam. L’anatema della città alla giornalista

Controversie. Riccardo Nencini ripercorre il rapporto difficile tra l’autrice e la sua città nel saggio «Il fuoco dentro. Oriana e Firenze» edito da Mauro Pagliai

La guerra santa di Oriana. La guerra santa di Firenze e della Toscana. L’anatema della Fallaci all’Islam. L’anatema della città alla giornalista. L’immagine di un passato che ritorna, con la paura, il coraggio, la morte: gli anni del fascismo, delle bombe, dell’Oltrarno, della Resistenza, del padre in carcere, della Liberazione e del diploma di staffetta partigiana. Infine una foto in prima pagina: il bivacco dei musulmani in piazza San Giovanni, lo sfregio alle regole e alla bellezza nella generale indifferenza. Ti viene addosso come un pugno Il fuoco dentro (Mauro Pagliai Editore), miscela esplosiva di umori e sentimenti raccolti da Riccardo Nencini, senatore socialista, viceministro del governo Renzi e testimone personale di un epico scontro, con ferite che sanguinano ancora.
Oriana Fallaci e Firenze. Il grande amore. Il grande odio. Chissà se dieci anni dopo si possono rifare i conti tra la scrittrice che non può tacere quel che la coscienza le impone di denunciare e la città che si sente offesa dall’accusa corrosiva di essere imbelle in un Occidente smidollato con l’Islam. Chissà se quella medaglia d’oro consegnata alla Fallaci da Nencini, allora presidente del Consiglio regionale, vincendo resistenze e ostilità, ma significativa di una fiera appartenenza, finirà di dividere una regione storicamente incline alle risse, anche con i suoi figli migliori.
«Firenze brucia. E l’ho perdutamente amata», scriveva Oriana nei giorni della rabbia e dell’orgoglio, con parole acuminate e indignazione al massimo. In quella piazza usurpata per settimane dalla tenda bianca dei profughi africani, nello spazio sacro tra il Battistero e la Cattedrale, «con l’arcivescovado che non si pronuncia, i turisti che si sorprendono, i cittadini che si offendono», vedeva un altro segno di resa alla crociata con la mezzaluna, l’incapacità di affermare le ragioni di una civiltà sull’altra, le radici cristiane su quelle dell’Islam. «Nella sua critica all’Occidente pigro, dopo l’11 settembre, era come se un demone l’avesse afferrata e sospinta su un crinale da difendere senza requie», ricorda Nencini con un filo narrante che intreccia impressioni, incontri e confidenze della giornalista- scrittrice.
Dal 2000 al 2006 Oriana non lascerà più la trincea scavata con coraggio e spavalderia dallo storico articolo pubblicato sul «Corriere», all’indomani dell’attentato alle Torri di New York. E Firenze, la sua Firenze, quella che ne aveva fatto un’icona di libertà, di femminismo, di intraprendenza, di antifascismo, le volta le spalle. Non accetta il ruolo di città infingarda, arrendevole con gli immigrati clandestini che la scrittrice vorrebbe sfrattare dalla storica piazza, quella piazza nella quale aveva accatastato i ricordi più belli, l’infanzia, il liceo Galileo, la sezione socialista di via Cavour, le notti con Panagulis a discutere del poeta Kavafis… «Che titolo ha per pontificare?», è il refrain più abusato. Perché dopo anni di lontananza accusa la sua città? Perché questo accanimento che va dal multiculturalismo fallimentare, alla infibulazione soft tollerata dalla sanità regionale e arriva fino alla loggia di Isozaki, un obbrobrio che lei chiama «la pensilina»?
Perché ama Firenze e non accetta di vederla sciupare, è quasi ovvio dire. Ma cicatrizzare la ferita, nel 2006, si rivela impossibile. «Firenze e la Toscana si posero alla testa del dissenso sfidandola con un linguaggio almeno pari al suo. Le anime lapiriane e balducciane non accettavano la sua visione. Da scrittrice di culto della sinistra, venne catalogata tra i cattivi. Il fatto che vivesse in America, anche questo diventò una colpa...», scrive Nencini. Oriana non indietreggiava. Anzi. Ma non voleva passare per quello che non era, voleva suonare la sveglia a Firenze, all’Italia, all’Europa che non deve diventare Eurabia. «L’articolo del “Corriere” ha scatenato una muta di cani. Io sono la preda», dirà a Nencini quando la raggiunge per comunicarle il riconoscimento del Consiglio regionale, risarcimento del Fiorino negato dal Comune che non la ritiene benemerita. «Non si fermeranno», ripeteva parlando dell’Islam in anni in cui non c’era la crisi economica, il Mediterraneo non ribolliva dei tagliagole dell’Isis e non c’erano stati il massacro di «Charlie Hebdo» e la strage del Bataclan…
Si sbagliava? O aveva più di una ragione? «Quindici anni dopo La Rabbia e l’Orgoglio possiamo tentare una risposta. Non una guerra santa dichiarata dai popoli musulmani, ma la conferma che le radici dell’odio non allignano solo nella povertà delle banlieu di Parigi e Bruxelles, ma nel ribellismo che si emancipa attraverso il matrimonio con l’ortodossia religiosa, nel sogno islamico che intende vendicare frustrazioni, umiliazioni, sconfitte», chiosa Nencini.
Il fuoco dentro è il tentativo di riconciliare una memoria, una grande scrittrice e la sua città. Negli ultimi anni di vita Oriana si sentiva un fuggiasco in casa sua. Ricordava Dante, o Farinata degli Uberti, il ghibellino dalla discendenza maledetta. Era malata. Il cancro, che lei chiamava l’alieno, l’aveva resa ancora più aspra. Voleva morire nella torre dei Mannelli, guardando l’Arno dal Ponte Vecchio, il duomo e il campanile, rivela Nencini. Su quelle scale si era arrampicata da staffetta partigiana, con il padre comandante di Giustizia e libertà. Poi era volata via, Milano, le guerre, l’America. In realtà non era mai partita veramente da Firenze. Non si parte mai da se stessi, da dove si è nati e dove un giorno si vuole tornare.
Data recensione: 22/03/2016
Testata Giornalistica: Corriere della Sera
Autore: Giangiacomo Schiavi