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Concorrere al Premio letterario internazionale Viareggio Rèpaci è l’ultima scommessa di un «critico militante» umile ma coraggioso come Elena Gurrieri, che conosce

Concorrere al Premio letterario internazionale Viareggio Rèpaci è l’ultima scommessa di un «critico militante» umile ma coraggioso come Elena Gurrieri, che conosce le sue potenzialità per confrontarsi con gli scrittori di maggior successo, senza avere la presunzione di collocarsi sulle vette che nella rassegna versiliese hanno consacrato «campioni» della narrativa e della poesia del rango di Carlo Emilio Gadda, Vasco Pratolini, Italo Calvino, Alfonso Gatto, Pier Paolo Pasolini, Paolo Volponi, Maurizio Maggiani, e in anni più recenti Antonio Tabucchi, Niccolò Ammaniti e Roberto Saviano. Con il suo ultimo libro Carte vive, appena pubblicato da Mauro Pagliai Editore, la Gurrieri ci dimostra come si può interpretare un esercizio di lettura per opere di autori contemporanei ovvero viventi. Pur ripercorrendo l’intero arco del Novecento, non si ispira certo alle «Stroncature» di Giovanni Papini. E subito ci avverte: «A mio modesto avviso, dal momento che si spendono parole per fare critica dei libri altrui, non ha molto senso recensire testi in cui non crediamo, ed è meglio , dunque tacere di ciò di cui non abbiamo stima. In fondo, un lavoro c’è stato anche da parte di chi non ha ottenuto la nostra approvazione. In conclusione, i libri che i lettori trovano recensiti in “Carte vive” sono quelli che abitano la mia biblioteca in qualche modo “ideale”, perché li ho scelti come buoni libri di cui tenere una memoria».
Si interrompe un attimo e poi continua: «Ho voluto così raccontare la letteratura a un pubblico più largo possibile, una platea più simile a quella che apre un giornale quotidiano per sapere quel che succede vicino o magari lontano da sé. In fondo essa si sostanzia di storie, esperienze, magari illusioni e idee che attraversano le vicende delle persone. Sarà una visione utopistica, ma per me recensire un libro è come “incontrare” di persona uno scrittore o un poeta. La relazione tra critico ed artista è un rapporto non meno intenso di quello che può offrire una relazione umana». Stiamo conversando nella Biblioteca- Archivio del Seminario Maggiore Fiorentino, in Lungarno Soderini, di cui Elena Gurrieri è responsabile. Davanti a noi qualche migliaio di volumi antichi e moderni: un patrimonio inestimabile! Prima di iniziare l’intervista, con delicatezza mista all’orgoglio mi mostra un «tesoro» a lei caro: è il «Codice Rustici», il manoscritto quattrocentesco già sottoposto a restauro conservativo, di imminente pubblicazione. Elena sta infatti completando il progetto di edizione in fac simile, con i dovuti apparati storico-critici ed i saggi di esperti di storia medievale come Franco Cardini e Francesco Salvestrini per la storia ecclesiastica, Cristina Acidini e Timothy Verdon per la storia dell’arte, Francesco Gurrieri per la storia dell’architettura. Grazie ad un contributo di 180 mila euro dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze e all’editore Olschki, sarà fruibile finalmente anche per il lettore medio, quella splendida miniera di notizie e immagini che illustrano la Firenze antica della prima metà del Quattrocento, contenuta nella Dimostrazione dell’andata o viaggio al Santo Sepolcro, opera dell’orafo fiorentino Marco di Bartolomeo Rustici. Il «Codice» sarà presentato ufficialmente nel Battistero del Duomo il prossimo 28 novembre, ma una copia rilegata in pergamena sarà donata a Papa Francesco nel corso della sua visita a Firenze, il 10 novembre. Dopo aver reso il giusto omaggio all’antichità, con Elena Gurrieri riprendiamo il discorso letterario in chiave contemporanea.
Cosa significa essere un «critico militante» oggi?
«Il critico militante è un tecnico e uno storico della Letteratura italiana che lavora per valorizzare gli autori viventi e della contemporaneità in genere, nei campi della Narrativa, della Poesia e anche della Saggistica».
I Maestri cui si ispira?
«Il mio Maestro istituzionale è stato Lanfranco Caretti, con cui mi sono laureata nel 1989: una tesi sulle Poesie del 1939 di Sandro Penna. I miei Maestri per dir così di elezione, sono Giacomo Debenedetti e poi Luigi Baldacci, come pure Alberto Asor Rosa e Romano Luperini, seppure “da lontano”. Carte vive è inoltre dedicato alla mia Maestra Antonella Ivancich, che è stata, a Firenze, un’artista di grande valore come cantante di Musica Antica. Desidero ricordarla come educatrice basilare per me, nella formazione del mio gusto in campo estetico e per ciò che riguarda la mia etica professionale in letteratura».
Quali sono gli autori viventi che legge più volentieri?
«Esiste un ricambio generazionale che suggerisce una certa prudenza nella scelta degli Autori, soprattutto i nuovi. Non amo gli scrittori che, dopo la fortuna di una o due stagioni per aver vinto un Premio Strega, si eclissano pochi anni più tardi. Tra gli italiani stimo Melania Mazzucco e poi rimango sui nomi sicuri: Alessandro Baricco, Sandro Veronesi, ma anche Aldo Busi nella narrativa. Per la Poesia italiana: Patrizia Cavalli, Patrizia Valduga, Roberto Deidier, Enrico Testa, Pier Luigi Cappello, Antonella Anedda, Ennio Cavalli, Sauro Albisani tra i toscani più valorosi».
«Carte vive» raccoglie gli studi e gli interventi pubblicati su riviste di italianistica contemporanea nell’ultimo decennio di ricerca. Qual è stato il criterio di selezione degli autori?
«La selezione dipende in parte da scelte di gusto proprie, in parte dalle proposte che ricevo da chi dirige le riviste di letteratura e varia umanità, cui collaboro con recensioni alle novità che escono nelle librerie italiane».
Con Aldo Palazzeschi e Vasco Pratolini ci riporta alla prima parte del Novecento. Che segno hanno lasciato nella letteratura del Terzo Millennio?
«Aldo Palazzeschi è stato un innovatore geniale del contesto letterario italiano primo-novecentesco sia con il saltimbanco dell’anima mia, sia con il suo proverbiale uomo di fumo. È un cantore della leggerezza e dell’ironia che sonda però in profondità le contraddizioni del suo tempo, il Novecento: secolo drammatico, a volte tragico. Pratolini è stato il cantore di Firenze (Le ragazze di San Frediano, Cronache di poveri amanti), ma anche della realtà sociale italiana, spiegata nella condizione delle varie classi sociali (da Metello a Lo Scialo). Il forte rapporto con il cinema, a Roma, ne ha valorizzato le qualità di narratore incisivo. È un classico, insomma, del Novecento letterario italiano».
Tralasciamo i poeti ermetici, avendo nei mesi scorsi parlato a lungo – celebrandone il centenario della nascita – di Mario Luzi, Piero Bigongiari, Alessandro Parronchi e delle loro esperienze con il «Frontespizio» di Piero Bargellini. Eugenio Montale, sepolto a Firenze, e Sandro Penna dominano il suo ultimo libro. Cosa ha scoperto di inedito su questi due grandi poeti che possa rafforzare il loro legame culturale con la Toscana?
«Per Montale ho curato l’epistolario con Giacomo Debenedetti, nel 1994 sulla rivista del Gabinetto Vieusseux. Sandro Penna, dopo la tesi di laurea, ho continuato a indagarlo su più fronti, pubblicandone, ad esempio, le recensioni inedite a libri di poesia degli anni Trenta, su “Paragone-Letteratura”, sempre nel ’94».
Ha fatto emergere anche la lucida sensibilità di Alfonso Gatto, tra i prediletti di un grande critico letterario come Carlo Bo: ne condivide il giudizio?
«Sì, Carlo Bo è stato senz’altro un Maestro di grande valore per la conoscenza della nostra poesia nella storia del Novecento italiano, e non soltanto per l’Ermetismo, e non solo a Firenze. La lezione di Bo è stata soprattutto una lezione di stile. Alfonso Gatto è sicuramente uno dei poeti lirici più significativi del panorama culturale italiano tra gli anni Trenta e i Sessanta».
Dopo Umberto Saba nel suo libro appare un altro grande autore triestino, l’ancora vivente Claudio Magris. Cosa l’affascina di più del suo professarsi laico e del suo «infinito viaggiare»?
«In Claudio Magris emerge la statura di uno scrittore, germanista e giornalista di alto profilo intellettuale e morale. La sua lucidità, inoltre, mi appare umanamente assai nobile. Per lui attendiamo il Nobel per la Letteratura, speriamo che non succeda come per Mario Luzi …».
Da padre a figlio: che insegnamento possiamo trarre dalle opere di Giuseppe e Michele Brancale?
Giuseppe Brancale è stato un valido narratore italiano del secondo Novecento, che ha ripercorso criticamente le vicende complesse della storia del Sud Italia. Ha un occhio sempre vigile al piano dell’anima, mentre narra le storie dei suoi personaggi disincantati, con chiarezza ed onestà intellettuale. Il figlio Michele che vive a Firenze, è un pregevole poeta del nostro tempo. Cerca soprattutto di far intendere al lettore fino in fondo quanta bellezza possa esserci nell’incontro con gli “ultimi” della nostra società. Direi che in lui prevalga la sensibilità per il messaggio cristiano».
Anche le donne hanno avuto, ovviamente, un ruolo importante nella Letteratura contemporanea. Le sue preferite?
«In Italia, la Natalia Ginzburg di Lessico famigliare, tutta l’opera di Elsa Morante, Anna Banti con il suo femminismo non oltranzista, anche se efficace. La poetessa romana Amelia Rosselli con le raccolte poetiche da Serie Ospedaliera degli anni Sessanta, fino ai primi Ottanta con Appunti sparsi e persi. La semi-sconosciuta Enrica Gnemmi con il suo libro rivelazione sul Muro di Berlino, di recente ristampato a cura di Paolo Zoboli per Interlinea. La nostra fiorentina, Rina Sara Virgillito, come narratrice, traduttrice e critica di Montale. In Europa, le «icone» Marguerite Yourcenar e Marguerite Duras e poi Christa Wolf, la narratrice e l’acuta osservatrice del quadro sociopolitico europeo».
Elena Gurrieri, concludiamo l’intervista ritornando all’antichità. Dimenticando per un attimo di essere la curatrice del progetto di restauro conservativo e di pubblicazione, da critico letterario cosa pensa possa offrire ai cultori della Storia l’edizione del manoscritto quattrocentesco universalmente noto come «Codice Rustici»?
«Il Codice Rustici è un ricco “zibaldone” che porta il lettore a comprendere la realtà antica di Firenze nella prima metà del Quattrocento, sotto diversi e pregnanti profili: storico, religioso, sociale e artistico. È inoltre la storia di un avventuroso – con ogni probabilità immaginario, ma non perciò meno avvincente – viaggio in Terra Santa. È un libro complesso e davvero assai intrigante. È naturalmente molto atteso dal mondo della cultura proprio perché, per quanto noto, è rimasto fin qui inedito. Oltre all’impegno concreto dell’Ente Cassa di Risparmio, è giusto sottolineare anche quello del Seminario Maggiore e della Chiesa Fiorentina tramite l’arcivescovo cardinale Giuseppe Betori».
Data recensione: 03/05/2015
Testata Giornalistica: Toscana Oggi
Autore: Antonio Lovascio