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In sala, la sala Regine di Montecitorio, i reduci di Alleanza nazionale non stanno più nella pelle.

In sala, la sala Regine di Montecitorio, i reduci di Alleanza nazionale non stanno più nella pelle. Per un attimo, a Italo Bocchino, Roberto Menia, Mario Landolfi e Donato Lamorte, ma anche a Luigi Ramponi, Gennaro Malgieri, Maria Ida Germontani e Antonio Mazzocchi, pare di essere tornati indietro nel tempo. Perché per la prima volta dopo tanto tempo sono tutti lì, insieme ad aspettare l’intervento del «capo». Solo che adesso An non c’è più, i suoi eredi – ad esclusione del Pdl – nemmeno e Gianfranco Fini, alla prima uscita pubblica dopo la batosta elettorale che l’ha estromesso dal Parlamento dopo trent’anni, siede di fronte a loro non solo perché deve prendere la parola in occasione della presentazione del libro che il costituzionalista Paolo Armaroli ha dedicato alla sua esperienza di presidente della Camera. Un volume, edito da Mauro Pagliai, che analizza «Lo strano caso di Fini e il suo doppio nell’Italia che cambia». Tra i relatori, moderati da un altro costituzionalista, Fulco Lanchester, spiccano i nomi di Luciano Violante, Anna Finocchiaro, Augusto Barbera e Andrea Manzella. Tutti con un passato e presente, più o meno marcato, nelle file della sinistra (Ds o Pd che sia). I due oratori del Pdl previsti dal programma, il ministro Gaetano Quagliariello e il capo gruppo al Senato Renato Schifani, non si fanno vedere. Così a discutere del contestato ruolo di Fini come presidente dell’assemblea della scorsa legislatura, restano solo gli esponenti democratici. Che lo difendono a spada tratta, come ad esempio fa Violante: «Fini si è trovato a presiedere la Camera nella legislatura più difficile, garantendo tuttavia l’imparzialità nella gestione del suoi ruolo». E poi, ricorda, «imparzialità non significa neutralità».
Data recensione: 05/06/2013
Testata Giornalistica: Libero
Autore: Tommaso Montesano