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Il costituzionalista Paolo Armaroli ha ricostruito i mutamenti della figura del presidente di assemblea esaminando le tensioni emerse sul caso Fini

Un saggio del costituzionalista Paolo Armaroli ricostruisce i mutamenti della figura del presidente della camera e le tante anomalie della passata legislatura

Il costituzionalista Paolo Armaroli ha ricostruito i mutamenti della figura del presidente di assemblea esaminando le tensioni emerse sul caso Fini in un agile ma denso volume Lo strano caso di Fini e il suo doppio nell’Italia che cambia (Mauro pagliai editore, 2013).
La tesi sostenuta da Gianfranco Fini è stata quella della possibilità di distinguere nettamente nella sua stessa persona la figura di presidente di assemblea super partes nell’aula di Montecitorio dal leader di partito coperto dalla più ampia libertà di manifestazione del pensiero al di fuori di essa.
Non è stato il primo leader di partito trovatosi in tale posizione, ha seguito l’esempio di Casini e Bertinotti, i quali, non casualmente dopo la riforma del regolamento della camera di fine anni ’90 che ha dato a quel presidente ampi poteri soprattutto, come ben spiega Armaroli, sulla programmazione dei lavori (quelli che in Francia e in Inghilterra appartengono al governo) ha spinto leader di minoranza dentro la maggioranza a preferire quella collocazione ad una interna all’esecutivo, forse meno incidente ma senz’altro più vincolante. La scelta ben consapevole, quindi, di una garanzia di «indipendenza dal governo e, soprattutto, dal presidente del consiglio, a costo di un minore impegno politico».
Tuttavia con Fini, rispetto a Casini e Bertinotti, le tensioni sono state maggiori dal momento in cui, a differenza dei due predecessori, si è trovato a passare esplicitamente e nettamente all’opposizione.  Lì si è sommata una doppia anomalia: un presidente della camera che mirava deliberatamente ad abbattere il governo dichiarando tale intento con forza fuori dall’aula fino ad avallare anche una crisi extra-parlamentare e una maggioranza che avrebbe voluto obbligarlo alle dimissioni pur in assenza di una regola che lo consentisse. Non reggono neanche le analogie storiche: le presidenze date al Pci con Ingrao, Jotti e Napolitano erano state pensate e vissute in funzione dell’integrazione progressiva di tale partito nella maggioranza, qui invece la presidenza si è mossa a rovescio, verso la disintegrazione della maggioranza.
Il diritto in questo caso non poteva dare soluzione, ci spiega Armaroli. Infatti la netta separazione tra dentro e fuori sostenuta da Fini non poteva reggere nello sminuire il rilievo del conflitto: basti vedere come l’insindacabilità per le opinioni espresse dai parlamentari nell’esercizio delle loro funzioni si connetta al ruolo esercitato in aula ma vada ben al di là di esso, secondo la giurisprudenza costituzionale sull’articolo 68. Tuttavia la scelta iniziata dal 1877, per cui i presidenti non partecipano al voto e sono garantiti da un mandato non revocabile, non poteva essere travolta da una revoca che avrebbe fatto dipendere il presidente dalla maggioranza parlamentare pro tempore.
Sulla base di un’accurata lettura delle vicende chiave della legislatura Armaroli dimostra che, effettivamente, da presidente, Fini «nel complesso, sia pure con qualche caduta di stile» è stato corretto, ma non di meno il suo comportamento fuori dall’aula «come uno dei tanti attori politici in circolazione» ha creato conflitti gravi. Il problema politico dello sdoppiamento tra Jekyll e Hyde è stato grave, anche se non vi era soluzione giuridica.
Il problema che emerge è tuttavia quello della congruenza tra ruolo super partes del presidente e anomali poteri di indirizzo che possono incidere pesantemente sull’attuazione del programma di governo e che andrebbero invece ripartiti e bilanciati tra governo, maggioranza ed opposizione. Finché alla camera resta quell’ambiguità (che non c’è invece al senato) è difficile pensare che, ove sia concretamente possibile, dei leaders politici a tutto tondo non vogliano assumere ruoli del genere. Le scelte operate nell’attuale legislatura, che pongono altri problemi, per l’anomalia diversa consistente nell’assegnare a neo-parlamentari la presidenza di assemblea, potrebbero essere solo una parentesi prima di nuovi Jekyll e Hide e di analoghi duri conflitti. Sarebbe il caso di prevenirli.
Data recensione: 17/04/2013
Testata Giornalistica: Europa
Autore: Stefano Ceccanti