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Il vaticanista Bruno Bartoloni chiarisce in un libro il significato del termine - (ebreo convertito al cristianesimo) - attraverso la storia della sua famiglia, tra nazismo e battesimi salvifici

Il vaticanista Bruno Bartoloni chiarisce in un libro il significato del termine - (ebreo convertito al cristianesimo) - attraverso la storia della sua famiglia, tra nazismo e battesimi salvifici

Marrano era l’ebreo convertito al cristianesimo, «poco fidato perché in segreto fedele al giudaismo»: così Alfredo Panzini nel Dizionario del 1905 che già la dava come «voce semispenta», se non «nel senso di furfante e di maleducato». Ma il destino delle parole, come quello degli umani, è pieno di soprassalti e anche “marrano” ha ritrovato la sua attualità verso la metà del secolo scorso con i battesimi per scampare alla persecuzione nazista. Una scheggia di quel revival arriva oggi a noi, calda di passione e di accoramento, con la rivendicazione del “nobile titolo di marrano” che compare in un libro confessione di Bruno Bartoloni (Le orecchie del Vaticano, Mauro Pagliai Editore), ebreo battezzato per sfuggire alla persecuzione e vaticanista di lungo corso che afferma di aver sempre guardato al Vaticano «con occhi marrani».
Che saranno mai questi “occhi marrani”? Credo ormai di saperlo, anzi d’averlo sempre saputo, diciamo da quando conosco il collega Bartoloni, e sono quasi quarant’anni: ma debbo ammettere che prima di leggere questo suo libro mi mancavano le parole per dirlo. Bruno Bartoloni è un caro amico, collega sempre allegro e motteggiatore impareggiabile. Figlio di un’ebrea tedesca e di un giornalista italo-argentino, è cultore di vari sport, di arte culinaria e di erudizione storica romana. È stato vaticanista della “France Presse”per 45 anni e collabora al Corriere della Sera da 37. Quando sono arrivato io come vaticanista al Corsera nel 1981 egli era lì - come collaboratore - già da sei anni e lì l’ho lasciato quando sono andato in pensione. Già si era narrato del protagonista nel romanzo Il rigogolo del Vaticano (Edizioni Polistampa 2008), che si chiama Trof Argentino, è di madre ebrea, diventa segretario del Papa e comprensibilmente trova gli abitatori del Vaticano un tantino “bloccati”. Questo secondo volume non è un romanzo ma una memoria familiare condotta su due registri: quello paterno di cronista vaticano (il papà di Bruno si chiamava Giulio Bartoloni ed è stato vaticanista della “France Presse”, come poi Bruno, dagli anni Venti ai primi anni Sessanta del secolo scorso) e quello materno di una famiglia ebraica che in parte si sposta dalla Germania all’Italia per scampare alla furia nazista ma a questa in gran parte soccombe. Già leggendo e recensendo quel romanzo mi ero fatto un’idea degli “occhi marrani” del collega. Si tratta infatti di una narrazione di straordinaria felicità linguistica e di felice manipolazione dei tipi e degli archetipi del mondo vaticano da parte di un professionista che quel mondo lo conosce da vicino e lo guarda da lontano. Ecco già due significati di “occhi marrani”: sono diventati cristiani - quegli occhi - e dunque vedono ingrandito il Vaticano, ma sono restati ebrei e perciò continuano a guardarlo da lontano. In quel romanzo un interminabile Conclave elegge un Papa nero che sceglie di chiamarsi Ireneo, si prende un segretario ebreo (controfigura autobiografica del nostro Bruno), fa cardinale una suora, indice un Concilio per grandi riforme e si dimette. Questi sono i commenti dei cardinali in Concistoro al momento della “rinuncia” al Pontificato: «Ma che dice, Santo Padre! - O Dio mio, ci mancava anche questa! - Ho sentito bene? - Ma porcaccia miseria! - Shit! - Oh putain! - Uee, ma chiss’è pazz! - Verdad, està loco, està loco!». Lingua marrana dunque, oltre che occhi marrani. Nel romanzo come nella realtà, la mamma e i nonni paterni del nostro autore si fanno inutilmente battezzare per sfuggire alla persecuzione: questo è il punto di contatto tra i due volumi, il secondo dei quali appartiene al genere della memoria familiare.
Un capitolo della memoria familiare è intitolato Come si diventa marrani, ed è il più bello, tutto linguisticamente godibile e di forte contenuto documentale. Qui conviene citare: «Mio nonno Fritz divenne un “marrano” insieme a mia nonna Hilde nella speranza di salvarsi. Avevano seguito l’esempio di mia madre Marianne che per potersi sposare con mio padre si era fatta battezzare dal cardinale Eu- genio Pacelli (…). Si fecero battezzare ma so con certezza che fu per necessità. Fui battezzato anch’io per la stessa necessità e non certo per mia scelta. Posso quindi recuperare con orgoglio il nobile titolo di marrano» (p. 123). Sfido chi legge a trovare nella letteratura italiana contemporanea un testo più vibrante imperniato sulla voce “marrano”. Da me interpellato sulla molteplice valenza di quella parola, Bartoloni si scatena facendomi presente che «un marrano è ebreo e cristiano o anche né ebreo né cristiano, oppure cristiano al quale si rimprovera l’ascendenza ebraica, oppure ebreo che torna infine alla fede dei padri». Mi ha parlato dei «marrani laici come Spinoza o come Cervantes» e dei marrani di diversa dislocazione geografica che nei secoli furono «campioni di laicità». «Nel fare l’elogio del marrano - cito ancora dal volume, alla pagina 124 - c’è chi ne ha sottolineato il sentimento dello sradicamento, il desiderio di universalismo, l’assenza di certezze. È con occhi marrani che ho sempre guardato al Vaticano per oltre cinquant’anni. Insomma siamo una famiglia di marrani. Ho voluil paginone 27 novembre 2012 • pagina 9 sere di origini ebraiche, cosa che comunque gli era del tutto indifferente»: era questa la condizione di tanti ebrei secolarizzati, costretti - si direbbe - dalla persecuzione a riscoprirsi ebrei. E ancora: «Nonno Fritz morì di fame e di stenti in un lager proprio pochi mesi dopo aver ricevuto il battesimo. Non ho elementi per stabilire quale fosse il suo animo quando con sua moglie Hilde andò in Vaticano a farsi battezzare da un prelato che gli chiedeva di rinunciare a Satana».
Contatti “ambientali” con il cristianesimo la famiglia della mamma di Bruno ne aveva ovviamente avuti anche prima di quei battesimi marrani: «Tra i libri di Marianne c’era una Bibbia per bambini, un libro che l’aveva appassionata. La considerava piena di favole» (p. 118). Ho chiesto a Bruno se avesse ancora in casa quella Bibbia e mi ha detto di no, ma mi ha assicurato che si trattava di una Bibbia cristiana, contenente cioè anche il Nuovo Testamento. Il fatto ha qualche significato e ci richiama tante simili vicende delle famiglie ebraiche in epoca moderna: in quelle famiglie - specie se secolarizzate, com’era il caso di quella dei nonni materni del nostro autore - non si conosceva l’ebraico ed era frequente che per la lettura personale to far coincidere con il 7 luglio 1944 il giorno della mia integrazione in questa sospetta categoria» (p. 124). Fu in quel giorno di 68 anni addietro, «voglio credere al tramonto», che il nonno materno di Bruno Bartoloni, Fritz Warschauer, morì di stenti nel blocco 19 di Auschwitz: «Da quel 7 luglio dunque - riprende la dolente narrazione di Bruno Bartoloni - sono tornato a essere un ebreo, anche se marrano come mio nonno. Recuperare l’identità ebraica mi è sembrato un piccolo contributo di riparazione ideale all’intreccio di violenze e di ingiustizie delle quali mio nonno è stato vittima, compresa la mortificazione di farsi battezzare, spinto dal ricatto di una possibile sopravvivenza » (p. 127). Un’altra pagina da leggere con trepidazione, in questo libro che è insieme divertente e drammatico, è la 131 dove si narra che «prima dell’avvento del nazismo mio nonno quasi non si ricordava di essere di origini ebraiche, cosa che comunque gli era del tutto indifferente»: era questa la condizione di tanti ebrei secolarizzati, costretti - si direbbe - dalla persecuzione a riscoprirsi ebrei. E ancora: «Nonno Fritz morì di fame e di stenti in un lager proprio pochi mesi dopo aver ricevuto il battesimo. Non ho elementi per stabilire quale fosse il suo animo quando con sua moglie Hilde andò in Vaticano a farsi battezzare da un prelato che gli chiedeva di rinunciare a Satana». Contatti “ambientali” con il cristianesimo la famiglia della mamma di Bruno ne aveva ovviamente avuti anche prima di quei battesimi marrani: «Tra i libri di Marianne c’era una Bibbia per bambini, un libro che l’aveva appassionata. La considerava piena di favole» (p. 118). Ho chiesto a Bruno se avesse ancora in casa quella Bibbia e mi ha detto di no, ma mi ha assicurato che si trattava di una Bibbia cristiana, contenente cioè anche il Nuovo Testamento. Il fatto ha qualche significato e ci richiama tante simili vicende delle famiglie ebraiche in epoca moderna: in quelle famiglie - specie se secolarizzate, com’era il caso di quella dei nonni materni del nostro autore - non si conosceva l’ebraico ed era frequente che per la lettura personale delle Scritture Sacre si ricorresse a Bibbie cristiane, magari illustrate, o più eleganti o più economiche di quelle ebraiche. La relativa rarità di edizioni della Torah nelle lingue parlate ha facilitato in epoca contemporanea una contaminazione tra ebraismo e cristianesimo che mai si era avuta nei secoli precedenti. Il Diario di Anna Frank narra di quando i genitori le regalano una Bibbia che contiene anche “la storia di Gesù” ed Etty Hillesum ha con sé, quando viene rinchiusa nel campo di raccolta di Westerbork, “i Profeti e i Vangeli”, cioè una Bibbia cristiana. Quell’avvicinamento tra lettori del Primo e del Secondo Testamento ha la stagione più intensa nel periodo della persecuzione nazista con gli ebrei rifugiati presso famiglie e istituzioni cristiane e con il concomitante ripensamento del loro indiscusso antigiudaismo da parte dei cristiani: vedendone l’ultimo spaventoso sbocco hanno preso a discuterlo e si sono adoperati a liberarsene. delle Scritture Sacre si ricorresse a Bibbie cristiane, magari illustrate, o più eleganti o più economiche di quelle ebraiche. La relativa rarità di edizioni della Torah nelle lingue parlate ha facilitato in epoca contemporanea una contaminazione tra ebraismo e cristianesimo che mai si era avuta nei secoli precedenti. Il Diario di Anna Frank narra di quando i genitori le regalano una Bibbia che contiene anche “la storia di Gesù” ed Etty Hillesum ha con sé, quando viene rinchiusa nel campo di raccolta di Westerbork, “i Profeti e i Vangeli”, cioè una Bibbia cristiana. Quell’avvicinamento tra lettori del Primo e del Secondo Testamento ha la stagione più intensa nel periodo della persecuzione nazista con gli ebrei rifugiati presso famiglie e istituzioni cristiane e con il concomitante ripensamento del loro indiscusso antigiudaismo da parte dei cristiani: vedendone l’ultimo spaventoso sbocco hanno preso a discuterlo e si sono adoperati a liberarsene.
Nel volume di Bruno Bartoloni sono narrate molte storie di protezione ottenuta da ebrei in zona cristiana e persino in Vaticano. Una di esse è così rievocata da Nissim Alhadeff (originario di Rodi, deportato ad Auschwitz e a Buchenwald, morto nel 2009) che fu compagno nei rifugi cattolici del nonno materno di Bartoloni, ma che prima aveva trovato un riparo in Vaticano: «Sono riuscito a rimanerci solo quindici giorni. Non facevano che novene. Si alzavano alle cinque del mattino per la messa. Poi una novena qui, la colazione e poi un’altra novena lì. E poi una conferenza. E poi Gesù Cristo qui e Gesù Cristo lì. Io non volevo diventare prete e neppure pazzo! Uno diventa matto lì. Bisogna vedere cos’era» (p. 167). Qui è Nissim Alhadeff, scovato da Bruno Bartoloni quando aveva 90 anni e viveva a New York, che racconta a suo modo le due settimane passate in Vaticano: nella confusione delle lingue e delle fedi, usa la parola “novena”per dire “preghiera”. Ma è un brano impagabile per dire in breve che cosa siano gli “occhi marrani”con cui Bartoloni guarda e racconta il Vaticano. Due pagine prima lo stesso Nissim Alhadeff aveva narrato la tragica retata nazista al Russicum e al Lombardo (collegi pontifici nelle vicinanze di Santa Maria Maggiore) che aveva portato alla cattura di alcune decine di ebrei subito avviati ad Auschwitz: e tra essi era appunto il nonno materno del nostro Bartoloni, che inutilmente si era fatto cattolico: «Lo sfortunato Fritz Warschauer dovette fuggire da Berlino perché ebreo, si dovette nascondere a Roma perché ebreo, trovò un rifugio perché cattolico ma fu preso come “politico” e morì ad Auschwitz bollato due volte con il duplice marchio di ebreo e di oppositore politico » (p. 126).
Data recensione: 27/11/2012
Testata Giornalistica: Liberal
Autore: Luigi Accàttoli