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Riedita “La Gazzetta Nera”, opera del 1939-1943 dello scrittore vicentino. Negli anni dell’esistenzialismo, una tesi unifica cinque casi di omicidio: l’odio è nella natura umana, impossibile eliminarlo

Riedita “La Gazzetta Nera”, opera del 1939-1943 dello scrittore vicentino. Negli anni dell’esistenzialismo, una tesi unifica cinque casi di omicidio: l’odio è nella natura umana, impossibile eliminarlo

Nell’attuale boom del “noir” ben si colloca la riedizione da parte di Mauro Pagliai editore di un classico del genere “La Gazzetta nera”, scritto da Guido Piovene nel 1939, e pubblicato nel 1943, giudicato “uno dei maggiori esiti della narrativa italiana del Novecento”. Il libro di Piovene, a differenza di quelli attuali, è un noir interiorizzato, dove l’uomo è un grumo di pensieri al servizio del male e gli omicidi, prima che nella realtà, avvengono nell’animo umano. Piovene - scrive Giorgio Pullini - è “un grande testimone dell’inquietudine esistenziale del nostro tempo, forse un grande analista delle nostre contraddizioni, un grande introspettivo, un coraggioso rivelatore del fallimento ultimo ed estremo delle nostre velleità idealistiche”. È un pensatore che si impegna a proporre le sue idee con abbozzi di racconti, in cui la tragedia sfocia nella realtà come conseguenza di un movimento di pensiero. Giovanni, il protagonista del romanzo, è un marito in crisi che cerca di risolvere il blocco del suo matrimonio ricorrendo a un artificio: in un plico ha raccolto per un giornale “La Gazzetta Nera”, fondato da una eccentrica signora inglese per raccogliere storie di condannati a morte, cinque racconti di altrettanti omicidi, attraverso i quali scarica l’impulso di violenza, che si è accumulato nella sua coscienza, sostituendosi idealmente agli assassini veri. I cinque casi comportano situazioni precise e scandiscono la progressiva ideazione di un omicidio che poi finiscono per portare a termine: nel primo caso si tratta della tentazione di un marito abbandonato dalla moglie; nel secondo di una nipote che accelera la morte della vecchia zia per impadronirsi dell’eredità; nel terzo, di un frate dissoluto che uccide la propria amante; nel quarto di uno psicopatico, che elimina un suo superiore nella casa di cura in cui è ricoverato; nel quinto, della lenta morte procurata al marito da una moglie che lo odia. La tesi che unifica i racconti appartiene alla profonda filosofia di Piovene: il male è indistruttibile e parte essenziale della natura umana. Perciò è inutile, anzi dannoso, cercare di eliminarlo, perché significherebbe abolire una parte della realtà. Siamo negli anni dell’imperante esistenzialismo letterario francese, da Sartre a Camus, da “La nausea” (1939) a “L’uomo in rivolta” (1951). Piovene non subisce, come Pavese e Vittorini, l’influsso della letteratura americana, o, come Berto e Fenoglio, della narrativa resistenziale, ma l’angoscia della solitudine, della pressione degli altri sul nostro “inferno” gli vengono piuttosto – sostiene sempre Pullini - dalla Ines di “A porte chiuse” di Sartre, che confessa la propria cattiveria e la volontà di fare il male agli altri come un bisogno vitale: “Io sì, sono cattiva: voglio dire che, per vivere io, mi occorre che gli altri soffrano”. Questa condanna al male di ognuno e di tutti, questa aspirazione a perdersi insieme è anche nelle parole di Giovanni alla fine del libro: “Io credo che ognuno di noi deve amare il suo male, legarsi alla propria angoscia, raccogliervi intorno la vita. Bisogna restare uniti proprio perché ci si dilania”.
Data recensione: 07/11/2012
Testata Giornalistica: Il Giornale di Vicenza
Autore: Gianni Giolo