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Più passano gli anni, e più Guido Piovene ci appare come uno dei maggiori sismografi dell’Italia contemporanea

Più passano gli anni, e più Guido Piovene (1907–1974) ci appare come uno dei maggiori sismografi dell’Italia contemporanea. Non soltanto scrittore talentuoso, dalla lingua sorvegliatissima, ma anche lucido cartografo della nostra umbratile identità nazionale. Pendiamo uno dei suoi romanzi più agghiaccianti, La Gazzetta Nera, ora riproposto da Pagliai. Uscì nel maggio ’43, per i tipi di Bompiani (anche se la prima stesura risale al ’39). «Libro repellente, ma sintomatico», annotò Pietro Calamandrei sul proprio diario. Siamo agli sgoccioli del regime fascista. Piovene è in mezzo al guado. Lasciatosi alle spalle gli scabrosi trascorsi antisemiti e littori (una “coda di paglia” comunque inestirpabile), è ormai vicino alla sua prima sterzata a sinistra, nelle fila della Resistenza romana, che gli varrà il soprannome di “conte rosso”. Eppure, in queste pagine non c’è davvero traccia dei sommovimenti che scuotono la crosta del paese. La penna di Piovene registra piuttosto un’Italia eterna, immobile, orgogliosa della propria minorità civile. Da qui, probabilmente, lo sconcerto di Calamandrei e Saba. Qual era la pietra dello scandalo? Aver abbozzato un quadro impietoso della natura umana, al netto d’ogni abbaglio progressista. In questo romanzo – che in realtà è un intarsio di cinque racconti distinti – non spicca una sola figura cristallina. Un universo malato, popolato da gente vile, ipocrita, perversa. Una diplomazia dei sentimenti chi inghiotte ogni idea d’amicizia, pietà, amore, ingiustizia. È come se il demone della “malafede” – già protagonista del primo romanzo di Piovene, Lettere di una novizia – fuoriuscisse dalle mura dell’angusto convento di clausura per contaminare ogni anfratto della società, dai palazzi nobiliari ai tuguri più scalcinati. È vero: a una lettura frettolosa, i personaggi della Gazzetta Nera possono sembrare caricaturali e grotteschi, predestinati come sono all’assassinio di coniugi, amanti e capi ufficio (la «Gazzetta Nera» è appunto il giornale inglese che raccoglie queste storie macabre). Ma in fondo la loro mentalità è un impasto degli ingredienti base dell’«ideologia italiana»: religione lucrativa, familismo amorale, mediocrità senza riscatto, ambiguità levantina. Sono personaggi tanto conturbanti quanto verosimili, e comunque assai più rappresentativi degli eroi senza macchia che presto avrebbero colonizzato la narrativa resistenziale. Per questo il romanzo di Piovane, uscito alla vigilia del “25 Luglio”, suona oggi come un monito involontario: mai sottovalutare la spina dorsale di un paese fisiologicamente refrattario alla mistica del lavacro morale.
Data recensione: 11/11/2012
Testata Giornalistica: Il Sole 24 Ore
Autore: Raffaele Liucci