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Criptico il titolo, solido, suggestivo, coinvolgente il testo. Questo è ‘Il signor Inane’, l’ultimo romanzo che Lia Tosi ha dato alle stampe per l’editore Mauro Pagliai

Criptico il titolo, solido, suggestivo, coinvolgente il testo. Questo è ‘Il signor Inane’, l’ultimo romanzo che Lia Tosi ha dato alle stampe per l’editore Mauro Pagliai (pag. 210, euro 12) raggiungendo un traguardo senz’altro significativo come la finale del premio ‘Viareggio 2011’. Criptico il titolo, abbiamo detto. L’aggettivo ‘inane’ – vano, inutile – è infatti così desueto che bisogna risalire all’Ottocento per ritrovarlo con qualche frequenza in letteratura. Lo Zingarelli del 1937 gli dedica due righi, stesso spazio nel Devoto-Oli, mezzo secolo dopo. E sul più recente Sabatini- Coletti addirittura un rigo. Ma Lia Tosi sembra voler sfidare il tempo e inserisce nel titolo, quasi provocatoriamente, questo aggettivo così antico, eppure così crudo. Con ciò lanciando anche un segnale: la sua non sarà una scrittura per bocche facili ma un testo raffinato, colto nel linguaggio e complesso nella storia, anzi nelle storie. Perché il romanzo è un bel palcoscenico di personaggi, un testo (anche molto cinematografico) che, nell’intreccio dell’azione corale, disegna un mondo moderno: il mondo che stiamo vivendo e che tanto spesso ci affligge. La quinta contro la quale si svolge l’azione è una città non vera ma che… esiste: contraddizione soltanto apparente giacché l’inesistente è il nome della città – Pè – ma la scenografia del tutto reale è disegnata su Pistoia. È in questa realtà che si sviluppano le storie, che si muovono i personaggi, alcuni primattori assoluti – come Maria Rossi e Didaco Puccini (Didaco: che splendido nome, così odorante di provincia) – insieme a tanti altri comprimari. Attenzione: comprimari, mai comparse, giacché nel libro ogni figura ha una sua precisa caratura umana. E del resto, a voler filosofeggiare, nessun uomo può mai essere soltanto comparsa nel suo esistere. Se ‘Il signor Inane‘ è storia tutta italiana per i luoghi e le figure che in essi articolano la loro sofferta quotidianità, il libro si arricchisce anche di un sottinteso universale di umanità lacerata e sconfitta, di piccole storie che sembrano esemplificare il conflitto sempre presente fra gli uomini. Perché, come acutamente osserva Pirandello, ‘guardando il nostro vicino, qualunque rapporto crediamo possa legarci – amicizia, affetto, amore – dobbiamo sempre chiederci chi egli realmente sia, cosa, pensi, cosa faccia, perché lo faccia. E chi potrà poi garantire sulla verità di ogni risposta?’. Lia Tosi, lo abbiamo detto, è una scrittrice raffinata che sa usare un lessico sempre inappuntabile, mai retorico. Alla sua quarta fatica letteraria – dopo ‘In via della casa effimera’ (1999), ‘Da maggio a maggio’ (2001), ‘Anonimo povero’ (2008) – l’autrice rivela in pieno la sua maturità, raggiunta forse anche grazie agli studi di lingua e cultura russa che l’hanno portata a tradurre opere di autori di quel lontano paese. Abbiamo già ricordato che il libro si fregia della fascetta: “In finale Premio Viareggio 2011”. È un ottimo traguardo, ma, per dovere di cronaca, dobbiamo aggiungere: ‘Non senza polemiche’. Perché questo è un romanzo che, per la sua struttura, per il suo linguaggio, per la sua maturità, avrebbe potuto vincere. Non vi è riuscito perché altri erano migliori o perché i premi letterari seguono spesso percorsi tortuosi come i fiumi carsici?
Data recensione: 01/12/2011
Testata Giornalistica: 0573
Autore: Renzo Castelli