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La scoperta che, in politica, l’abito fa il monaco viene da molto lontano. Non arriva, come qualcuno ci ha insegnato, dalla spettacolarizzazione della ragion di stato avvenuta negli Usa. Ma ha origini italianissime

La scoperta che, in politica, l’abito fa il monaco viene da molto lontano. Non arriva, come qualcuno ci ha insegnato, dalla spettacolarizzazione della ragion di stato avvenuta negli Usa. Ma ha origini italianissime. E non negli anni Ottanta che fecero da incubatoio all’efferata attenzione all’immagine dell’era berlusconiana. Il primo a capire che l’abbigliamento, in politica, è un linguaggio importante tanto quanto la parola scaltra, un’arma per comunicare un messaggio preciso e vincente, è Cosimo I de’ Medici. Sarà perché viene eletto al governo di Firenze a soli 18 anni, per poi diventare granduca su conferimento di papa Pio V nel 1570, ma la sua lungimiranza in materia ancora oggi meraviglia. Da questa strategica capacità di fare dell’abbigliamento una cassa di risonanza del buon governo parte il volume Moda a Firenze 1540-1580. Lo stile di Cosimo I dei Medici scritto per Polistampa dalla studiosa Roberta Orsi Orlandini, massima esperta di abiti nell’era medicea, da 30 anni in Palazzo Pitti dove conosce ogni segreto del Museo del Costume. Che l’immagine, per Cosimo I, abbia una grande importanza lo si capisce dal momento in cui affida al Vasari i lavori di ristrutturazione di Palazzo Vecchio, il centro del potere di una cittàstato che, con il granduca diventa centro nevralgico di uno stato territoriale: se l’esterno rimane fedele alla tradizione, gli interni diventano oggetto di un notevole rimodernamento alla luce, ovviamente, di un’apologia della sua dinastia, della legittimazione del potere che gli è stato conferito, di un’attenzione al passato ma anche al futuro» spiega Orsi Landini. Lo stesso acume si riflette sull’ideazione del look che, nella storia di Cosimo I, attraversa varie fasi unite dall’uso ossessivo del nero, «e se si pensa che nell’Ottocento questo sarà il colore d’ ordinanza della borghesia, si capisce quanto moderne fossero le intuizioni di Cosimo». C’è un primo momento in cui l’atteggiamento predominante è il low profile. «Il granduca non vuole urtare la sensibilità del suo popolo, e quindi opta per abiti non attillati, perlopiù di lana, tutti prodotti a Firenze, esternando la vicinanza alla gente con abiti non lontani da quelli indossati dai mercanti. Poi il potere ormai consolidato, e l’influenza della moglie, Eleonora di Toledo – che invece non rinuncia al lusso, è attentissima alla moda del tempo – lo spingono a sostituire il total black con sete decorate ma mai in modo eccessivo: seppure con qualche concessione in più, l’abito deve sempre essere l’emblema del potere come misura, come saggezza al governo, scevra di ogni volgarità». L’unico strappo alla regola è la sontuosa veste indossata da Cosimo I alla cerimonia di incoronazione, tutta decorazioni dorate, abilità artigianale in cui Firenze primeggiava. Un gusto per l’abbigliamento «chilometro zero» che sarà una costante del granduca: il quale non solo governa, ma anche indossa la grandezza manifatturiera della sua città. Dotandosi di un apparato vastissimo di fonti documentarie (molte inedite), studiando da vicino dipinti e abiti d’epoca (ricchissimo l’apparato iconografico del volume), Orsi Landini ricostruisce con dovizia di particolari l’evoluzione della moda rinascimentale a Firenze, che si snoda in un guardaroba dove capi e accessori hanno nomi immaginifici: dal bertino alla guiggia, dalle lattughe alla rascia, dal lucco alla pistagna. E c’è anche una scoperta riguardo alla biancheria intima: il martingala, «la striscia di tessuto usata per chiudere, sul davanti e sul dietro, le calze completamente aperte, un modo facile per andare al bagno senza doversi dotare di un servitore che slacciasse e allacciasse un’infinità di stringhe». Fino ad oggi era stato esposto al Museo del Costume di Palazzo Pitti come ufo dell’abbigliamento. Oggi sappiamo che è l’antesignano delle mutande.
Data recensione: 16/09/2011
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Fulvio Paloscia