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Nel 1999 ebbi occasione di leggere un dattiloscritto, I Monti Orfici di Dino Campana, di un autore a me sconosciuto, Giovanni Cenacchi; ne apprezzai immediatamente l’originalità con cui veniva interpretata l’opera del poeta.

Nel 1999 ebbi occasione di leggere un dattiloscritto, I Monti Orfici di Dino Campana, di un autore a me sconosciuto, Giovanni Cenacchi; ne apprezzai immediatamente l’originalità con cui veniva interpretata l’opera del poeta.
Quelle pagine però non avevano ancora trovato un’adeguata collocazione editoriale.
L’occasione avvenne grazie a Giuseppe Matulli, il quale mi consultò per la pubblicazione di un libro su Campana e sulle montagne dell’Appennino tosco-romagnolo; fu così che pensai al testo di Cenacchi, con cui in seguito collaborai per la stampa della prima edizione del volume (Polistampa, Firenze 2003).
Dopo alcuni mesi, Giovanni mi parlò della sua malattia, scoperta improvvisamente. Tutto questo non indebolì il nostro sodalizio, che anzi si rafforzò, assumendo un’aura più emozionante. In questo libro Cenacchi parte da un assunto: l’identificazione tra vita e opera di Campana: «È comune per ogni poeta essere rappresentato dalla propria opera, ma molto più difficile è certo riuscire ad essere la propria opera».
Questo fatto si concretizza con il cammino, in contatto con la natura primigenia che è fonte di ispirazione poetica, poesia stessa ed elevazione da una società a cui Campana si sentiva estraneo; Cenacchi parla di «ricorso all’ascesa come metodo di liberazione dal tempo». Salire dunque, fino a sostituire ai versi della poesia i passi della salita, «fino a non poter più distinguere la linea dei versi da quella dei propri sentieri».
Cenacchi è un alpinista-scrittore ed è proprio grazie a questa sintesi che riesce a congiungere poesia e tecnica.
E perché proprio le montagne della Romagna toscana? Perché sono per Campana le montagne di casa, ma anche perché racchiudono quello spirito apollineo e dionisiaco, ovvero di ragione e irrazionalità, che convive nella sua arte: «apollineo e dionisiaco:in questo continuo movimento […] trova senso la percezione campaniana delle montagne dell’Appennino».
Nelle ultime pagine del libro Cenacchi scrive: «In cima a una montagna riusciamo a scorgere un po’ di scrittura anche nella nostra esperienza personale: perché ogni vetta è sempre il segno di una fine, il compimento di una narrazione che ha sostituito i passi alle parole».
Nell’agosto del 2006, Giovanni Cenacchi se n’è andato. La notizia della stampa della seconda edizione dei Monti Orfici è avvenuta a 100 anni esatti dal pellegrinaggio di Campana alla Verna, il cui diario è per Cenacchi il maggior riferimento letterario dai Canti Orfici.
Ci sono delle strade misteriose che la poesia sa svelare, coincidenze e contemporaneità prima negate poi improvvisamente accolte; questo si rinnova oggi, un dato di fatto al tempo stesso doloroso e meraviglioso: oltre l’ombra della morte, sulle orme di Dino Campana, il cammino di Giovanni Cenacchi continua.
Data recensione: 28/05/2011
Testata Giornalistica: Nuovo Corriere
Autore: Lorenzo Bertolani