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Nella Firenze del tardo Quattrocento, tra gli splendori della corte di Lorenzo il Magnifico, Sandro Botticelli aveva rappresentato nella “Primavera” e nella “Nascita di Venere” le forme più alte dell’eros neoplatonico

Nella Firenze del tardo Quattrocento, tra gli splendori della corte di Lorenzo il Magnifico, Sandro Botticelli aveva rappresentato nella “Primavera” e nella “Nascita di Venere” le forme più alte dell’eros neoplatonico, con le sue dee dalle linee armoniose e conturbanti. Poi, scosso dalla predicazione del Savonarola, aveva ribaltato i canoni della sua estetica paganeggiante, abbandonando la bellezza del corpo per quella dello spirito. Non più dee, ma Madonne. Anche gli artisti cinquecenteschi disegnavano sublimi Madonne che sprigionavano da ogni loro tratto materna dolcezza verso il Bambino e celestiale sollecitudine verso l’umanità tutta, ma le amavano, quelle Madonne, di amore tutt’altro che puro, perché tutt’altro che caste e pure erano le modelle elette a Vergini. E tutt’altro che santi, loro, i grandi artisti del Cinquecento. Se preferite, diciamo che, in un clima ancora lontano dagli scrupoli della Controriforma, mescolavano sacro e profano senza eccessivi pentimenti, e che spesso e volentieri era al profano che consacravano le loro energie. Con una voluttà che finiva col diventare incontrollabile. È il caso di Raffaello Sanzio. Il grande pittore muore a Roma la notte del 6 aprile 1520. È un venerdì santo. E sempre di venerdì santo era nato, trentasette anni prima. L’immaginario collettivo ne è colpito. E poi si sono verificati dei fenomeni inquietanti. Infatti, lo stesso giorno della precoce dipartita alcune crepe si sono aperte nei palazzi vaticani. Raffaello come Cristo, alla cui morte, si legge nel Vangelo di Marco, si squarciò il velo del tempio? Raffaello Sanzio, Raffaello Santo? No, era bellissimo e dotato da Dio di eccelse qualità creative, ma santo non era proprio. Anzi, aveva la fissa delle donne e del sesso. Tanto che, come racconta lo storico dell’arte Carlo Adelio Galimberti (“Mogli, garzoni e amanti. Amore ed erotismo nella vita e nelle opere degli artisti del Cinquecento”, pp. 198, euro 16), pare sia morto dopo una notte di amorosi eccessi. Lei – figlia di un fornaio o cortigiana che fosse – si chiamava Margherita, ma è passata alla storia come “la Fornarina”. L’omonimo ritratto la raffigura con occhi nerissimi, uno sguardo che sembra quello di una fanciulla che si schermisce, ma in realtà ammalia, mentre le bianche braccia sostengono un velo che dovrebbe coprire i seni nudi ma, a dire il vero, li esibisce, e la mano destra è appoggiata, invitante, sulle cosce. La vedevi e ti toglieva il respiro, raccontano i contemporanei. Di sicuro, Raffaello arse per lei fino a consumarsi, “incatenato” da quelle braccia in una dolce, estenuante prigionia. “La Fornarina” sposa segreta? Può darsi. Lui ne immortalò la bellezza in numerosi dipinti: dal “Trionfo di Galatea” alla “Madonna Sistina”. Come dire: amor sacro e amor profano a imperitura gloria. Se a Raffaello piacevano (anche troppo) le donne e furono tante a rimpiangere il Grande Amatore, altri artisti, come l’impetuoso e violento toscanaccio Benvenuto Cellini, erano decisamente bisessuali e non disdegnavano i ragazzini. La società rinascimentale, impregnata di eros, si dimostrava del resto tollerante nei confronti della sodomia. Sì, c’erano le leggi che prevedevano processi e sanzioni, ma le suggestioni della cultura classica, celebratrice della bellezza efebica di una sterminata schiera di Ganimedi, facevano sì che i “rei” il più delle volte se la cavassero senza soverchie sanzioni. Comunque, Galimberti, in questo suo colorito excursus nel genio e nella sregolatezza cinquecenteschi, ci racconta tante pruriginose storielle di artisti che oggi, senza tanti giri di parole, potremmo definire pedofili. Da Cellini al Sodoma (soprannome particolarmente azzeccato!), da Leonardo a Michelangelo. Resta, a proposito di quest’ultimo, un mistero: quello tra lui e la bella e coltissima Vittoria Colonna, patrizia romana, fu solo “amor platonico”? A proposito: ma l’amor platonico nell’età classica e nel Rinascimento era tutto e solo spirito e sentimenti oppure vi facevano maliziosamente capolino anche i sensi?
Data recensione: 22/08/2011
Testata Giornalistica: Il Tempo
Autore: Mario Bernardi Guardi