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Non sappiamo quasi niente di Eugenio Felicori, se non che è arrivato a pubblicare narrativa dall’anno scorso e che di mestiere fa il pensionato

Briganti. Il romanzo di Eugenio Felicori
Non sappiamo quasi niente di Eugenio Felicori, se non che è arrivato a pubblicare narrativa dall’anno scorso e che di mestiere fa il pensionato. Beato lui, si direbbe, che sa mettere a frutto il cosiddetto periodo post-lavorativo consegnandosi ad un’attività molto impegnativa e per niente rassicurante sui suoi esiti gratificatori. Dalla sua autopresentazione sembra avere un’euritmica dose di ironia che lo esime da palcoscenici troppo immediati e democraticamente, sembra, molto ambiti. Sarà meridionale o settentrionale? Intanto il suo secondo romanzo esce col fiorentinissimo editore M. Pagliai e si fregia della vittoria nel Premio nazionale degli Oscuri (che, non volendo, suona paradossalmente beneaugurante). S’intitola Il diavolo di Rionero e trasporta il lettore in pieno Risorgimento, all’altezza della sanguinosa e devastante guerra brigantesca (pref. V. Viviani, Mauro Pagliai ed., pp. 264, euro 14). L’autore è molto ben calato nella vicenda che narra. Una vicenda di grande attualità a causa del dibattito suscitato dal 150° dell’Unità d’Italia, a cui il libro vuole offrire, attraverso il fascino di imprese epiche, un suo punto di vista storiografico di equilibrato bilancio e anche un pensoso stimolo morale. Felicori sembra così rispondere alle istanze che si addensano attorno all’Unità, richiamando soprattutto l’ambiguità della storia e la necessità di usare ogni cautela nel distribuire vittorie e sconfitte, condanne e assoluzioni. Il passaggio epocale ad una nuova Italia si avvale così di un racconto che riassume le contraddizioni di programmi e obiettivi, condivisi, avversati, stravolti. In campo c’è il capo-brigante Carmine Donatelli Crocco e c’è il «diavolo di Rionero», ovvero Rocco Menna, che segue il «generale» ma riesce a costruire una sua leggenda, che sarà tramandata tra le genti del Vulture fino ad oggi. La guerra contro i Piemontesi, contro il nuovo Stato, sarà asperrima, durerà cinque lunghi anni e costerà decine di migliaia di morti. Nel romanzo Felicori fa muovere una quantità notevole di personaggi, sa spostare lo sguardo su vicende parallele o minori, riesce a ricostruire scenari di convincente amalgama tra storia e mito. Non dimentica, tuttavia, di sottolineare le colpe gravissime di un esercito regio gettato in una vicenda così drammatica e lacerante: i Piemontesi finiscono per rivelare la loro natura di crudeli conquistatori e di sommari esecutori di ordini superiori, fino a pareggiare e a superare il conto sanguinario della parte che combattono. La Storia sembra ripetere puntualmente il suo copione e sa imporre domande decisive. Un’occasione, questa del romanzo di Felicori, per rispolverare quegli anni e, insieme ad un indubbio piacere del racconto, portarvi un po’ di spirito critico e misurare le distanze che intercorrono tra ideali e realizzazioni.
Data recensione: 11/07/2011
Testata Giornalistica: La Gazzetta del Mezzogiorno
Autore: Sergio D’Amaro