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«Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che è la più bell’età della vita. Ogni cosa rappresenta una minaccia per il giovane: l’amore, le idee, la perdita della famiglia, l’ingresso tra i grandi.

«Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che è la più bell’età della vita. Ogni cosa rappresenta una minaccia per il giovane: l’amore, le idee, la perdita della famiglia, l’ingresso tra i grandi. È duro imparare la propria parte nel mondo» è il formidabile incipit del più noto testo autobiografico di Paul Nizan, quell’ Aden-Arabie che il giovane normalien pubblicò nel 1931.
I diciotto giovani autori dei racconti raccolti in questo volumetto a cura di Gianni Conti hanno partecipato al Premio Letterario ArtediParole indetto per le scuole medie superiori di Prato e Firenze nell’anno 2009-2010. Il tema del concorso era Amori Stretti: un invito a parlare di sé, ad immaginarsi alle prese con le vicende dell’amore in un’età in cui esso è forse una delle principali (se non la principale) preoccupazioni di chi sta per entrare nella vita attraverso la porta stretta delle proprie assunzioni di responsabilità nei confronti di essa. Se i vent’anni – come scrive Nizan – non possono essere considerati la più bella e la più confortevole delle età della vita, la fine della stagione scolastica e l’ingresso (possibile) nei “bui chiostri delle Università” (Franco Fortini) è uno spartiacque notevole ed esigente. Scrivere è, allora, una sorta di preludio (forse ludico, forse no) a quell’ingresso in società che è lo sbocco naturale della vita per un giovane. I diciotto racconti – chi in un modo, chi in un altro e ciascuno a modo suo – parlano proprio di questo.
«La lettura di questi diciotto racconti insomma può essere una buona cartina di tornasole per un giovane lettore per specchiarsi nei suoi coetanei e comprendere se davvero sono stati capaci di mettersi in gioco, se davvero hanno descritto un mondo reale» scrive a ragione Gianni Conti a p. 8 dell’Introduzione al volumetto.
Il vincitore del concorso, Mattia Cavicchi, propone una parabola di tipo espressionistico con il suo Monadi, storia allucinata di una corsa disperata di un giovane artista in mongolfiera alla ricerca della propria redenzione rispetto a un mondo considerato deserto e inospitale. Anche l’amore gli appare impossibilitato ad operare il riscatto che egli desidera ricevere dalla propria arte. Il testo è esemplare per il modo in cui la passione “fredda” del giovane artista è mostrata nel suo disporsi ad una fuga che potrebbe comportare il suo possibile annientamento. È un Io esterno anonimo e narrante a raccontare l’evento in presa diretta e contemporaneamente a ricordare ciò che è accaduto in precedenza quando il loro rapporto era stretto e forte più di un amore sentimentale: «Era riuscito a farmi ritornare sul continente, e sul continente avevamo ottenuto l’uno gloria in virtù dell’altro: il poeta redivivo col suo protetto, genio precoce. In anni in cui avevamo brillato di reciproca fama riflesso, io ero stato la sua nuova famiglia. Udivo i suoi racconti. Sentivo che mi identificava come mentore; in me si formava la figura dell’artista impossibile da incasellare nel sistema, frantumatore di convinzioni, spregiudicato, non controllabile, e per questo schiacciato, dentro e fuori di sé, dalla pressione enorme di una società che lo rifiutava, in quanto non assimilabile a meccanismo o ingranaggio. E pensavo: sì! Questo era quanto avevo vissuto e provato sulla mia pelle, quanto avevo sempre cercato di esprimere nella mia opera. Ma bon con tale eccezionalità. Rinascevo libero tramite uno spirito libero, libero di stare nel mondo senza fuggirne» (p. 16).
Il giovane artista di Cavicchi si rivela una monade incapace di amare, in fuga ma isolato nella sua rivolta, necessitato a trovare aiuto ma incapace di richiederlo. Figlio di se stesso ma bisognoso di un padre. Anche l’Inettitudine di Alexandra Antal è frutto di un’incapacità di scegliere e di trovarsi uno scopo per cui vivere, una possibilità a trovare una dimensione dell’esistenza che vada al di là della pura attesa di qualcosa che la renda degna di essere vissuta. L’attesa di un appuntamento ormai fisso ogni venerdì con qualcuno per il quale si prova solo disamore diventa una prova da affrontare, un momento decisivo cui prepararsi per poi non sapere cosa provare, cosa aspettarsi.
Allo stesso modo in cui Il gomitolo rosso di Giorgia Famà esplora con una certa originalità l’ansia e la sofferenza della negazione di un amore omosessuale, Deborah Bottazzi ritrova nella Musica il senso di un rapporto amoroso altrimenti non praticabile o accettabile al di fuori di essa. Se La musica di un amore di Laura Bonaiuti individua nei momenti magici senza tempo il senso dell’amore condiviso, Arianna Givigliano in Foglie d’autunno si concede una divagazione sentimentale riscoprendo la bellezza di un possibile sentimento senza tempo che rinnova il mito di Filemone e Bauci, innamorati per l’eternità.
Lorenzo Pacini in La canzone della madre coniuga insieme il fantastico tolkeniano con l’amore materno di ogni giorno; Rossella Motti in Russian Hotel propone una riflessione narrativa sul presente senza remissione di chi sembra condannata a viverlo senza scampo e tuttavia spera ancora di sfuggirgli; Elisa Mazzantini in Philosophia. Diario immaginario di Giacomo Leopardi si prova a immaginare l’amore come poteva averlo provato il grande poeta di Recanati quando veniva deriso e sbeffeggiato dai suoi coetanei. Solo un ragazzo di Sara Picchi esplora le pieghe del sentimento d’amore di un giovane per un altro giovane suo coetaneo. Blu di Calina Mladenova si prova a coniugare il rapporto tra sensi e sensibilità amorosa sulla base di una vocazione all’illuminazione coloristica.
Lettere d’amore di Marco Bei racconta l’importanza del desiderio e il suo voler bruciare le tappe come espressione di una dimensione autentica del sentire. Mariangela Suppa in Soffi di voce trasforma in espressioni vocali e nei soffi che li contraddistinguono la difficoltà a crescere e a trovare la propria strada nel mondo e nella vita. Ruggine e malinconia di Chiara Pazzaglia racconta di un rapporto difficile, perduto e ritrovato, con un padre assente e poi ritrovato in limine mortis. In Tra tutti, lei, Tommaso Giovannuzzi descrive il “volo” finale di Jason che attraverso l’amore redime l’ostinazione a vivere del suo corpo deforme e lo trasforma nella realizzazione di un sogno amoroso.  Mikol Fazio in Legami di luce si concentra su un rapporto forte e ambiguo tra un fratello e la sorella Claire – un legame fatto di nodi metaforici e concreti. I nostri sguardi si incrociano di Arianna Mazzuoli racconta un amore mancata da parte di una donna araba, Aisha, sposata e con una bambina che si nega a una possibile quanto appagante avventura mentre Attraverso i suoi occhi Valentina Casula ricorda un fratello che non c’è più e lo fa rivivere attraverso un’evocazione struggente e straziante.
Tutte storie – come si può vedere – melanconiche, legate a ricordi o a scelte difficili e non gratificanti (nella maggior parte). Aleggia su di esse un senso di attesa e di ritorno, di abbandono di uno stato considerato naturale e fattivo in nome di una dimensione artificiale che prelude spesso all’ingresso nell’età adulta. I giovani autori della raccolta sembra essere fermi ad aspettare qualcosa che non arriva: la realizzazione di un sogno, l’emozione di un suono o di una voce, la tensione fisica e sentimentale di un amore previsto e non ancora proposto da chi dovrebbe e potrebbe farlo.
La scrittura è quasi sempre tesa, un po’ allucinata, mai infantilmente distesa nel racconto fine a se stessa ma come catturato da una necessità di auto-realizzarsi attraverso una parola, una sinestesia, un segno che attira l’attenzione per sciogliersi in un climax inatteso eppure spesso coinvolgente.
Non è possibile al momento prevedere chi scriverà ancora di questi diciotto esordienti, chi di essi è stato “toccato dal fuoco” della scrittura e chi, invece, si ritirerà negli studi usuali in nome di un precoce rappel à l’ordre di natura opportunistica o semplicemente più consona alle abitudini di una scelta quasi naturale. Quel che conta, tuttavia, è che qui si siano esposti, che abbiano scritto delle storie emergenti dal loro vissuto più profondo, dai loro sogni, dai loro desideri, dalle loro aspirazioni  represse, dal loro essere più recondito e sognato.
La loro attenzione alla scrittura segna, in ogni modo, un netto discrimine rispetto a molti loro adolescenti più disamorati e scandisce, per questo motivo, un loro ingresso in una sorta di “sociologia della gioventù” che si descrive e li connota, quasi avessero voluto ritrovarsi in un mondo che assomiglia a quello in cui abitualmente vivono e che pure è diverso e molto più angolato, teso a superare le asperità dell’adolescenza, inteso a ritrovare una ragione d’essere che solo l’amore (come è sempre valso per tutti) può donare.
Data recensione: 01/04/2011
Testata Giornalistica: Retroguardia
Autore: Giuseppe Panella