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Tra le tante iniziative editoriali che hanno celebrato il centenario della morte di Emilio Salgari, probabilmente la più interessante è stata l’uscita de libro di Paolo Ciampi I due viaggiatori. Alla scoperta del mondo con Odoardo Beccari ed Emilio Salgar

Tra le tante iniziative editoriali che hanno celebrato il centenario della morte di Emilio Salgari, probabilmente la più interessante è stata l’uscita de libro di Paolo Ciampi I due viaggiatori. Alla scoperta del mondo con Odoardo Beccari ed Emilio Salgari (Mauro Pagliai Editore, € 12). Si tratta di una rielaborazione e di un ampliamento di un suo volume del 2003 che era più centrato sul viaggiatore fiorentino Odoardo Beccari. Questa nuova opera è, invece, una sorta di dialogo a distanza tra il formidabile scrittore di avventure e l’esploratore che lo aveva ispirato – e sullo sfondo James Brooke, unico personaggio realmente esistito del ciclo dei pirati (arcinemico di Sandokan e suo alter ego): senza questo avventuriero inglese, che con tanta audacia e pochi scrupoli si era inventato il suo regno (il Sarawak nel Borneo), l’intera serie sarebbe stata inimmaginabile. Grazie a una lettera di raccomandazione di Brooke, che aveva conosciuto qualche settimana prima in un salotto londinese, nell’aprile del 1865, Beccari salpa per il Borneo, il primo e il più importante dei suoi viaggi. Lì sarà ricevuto dal nipote del Raja bianco, Charles Brooke, il quale faciliterà in ogni modo le sue esplorazioni e i suoi studi. Botanico, zoologo, antropologo: a cavallo tra la seconda metà del XIX secolo e i primi decenni del XX, Beccari legò la sua fama soprattutto alle spedizioni scientifiche nel Sud-Est asiatico, in particolare appunto quella nel Borneo, ai lavori sulle Palme, alla scoperta nell’isola di Sumatra della Rafflesia (il fiore più grande del mondo), ma anche alla sua abilità di disegnatore e di fotografo. Con i Brooke condivideva le stesse idee a proposito di colonialismo e missionari: «Io credo che al giorno d’oggi più della propaganda religiosa giovi alla causa della civltà l’estensione delle pacifiche relazioni commerciali, le quali, gradatamente e senza urti eliminano dai costumi delle popolazioni selvagge e primitive quanto vi può essere di contrario alle nostre idee di morale e alle nostre abitudini sociali. I dayak cristiani sono la cosa più ridicola che si possa immaginare». Una volta nel Sarawak, Beccari si stabilì nella giungla, nei pressi della capitale Kuching; si costruì una capanna e si dedicò per alcuni anni alla catalogazione sistematica della flora e della fauna della foresta vergine che lo circondava, nonché allo studio delle tribù indigene, i temibili dayak. Fu tra i primi a capire che i tagliatori di teste si dedicavano a tale attività per esigenze rituali, ma anche sociali: un giovane guerriero dayak non poteva sposarsi senza regalare almeno un paio di crani alla sua giovane consorte – ed era anche un modo per essere preso in considerazione dagli adulti. Beccari è un poeta che avverte la meraviglia per tutto ciò che lo circonda, un mistico che abbraccia il mondo e ne è abbracciato, insomma un involontario monaco zen italico: secondo lui nella foresta l’uomo si sente veramente libero. E questa ricerca della perfetta solitudine, solitudine involontaria, è un altro elemento che lo accomuna strettamente a Salgari – due solitudini che inseguivano l’altrove. Beccari scriverà molto su quanto aveva visto e fatto nei suoi viaggi: articoli, resoconti, disegni che pubblica su testate scientifiche e geografiche che Salgari compulsava avidamente. Salgari (ufficiale di marina mancato che mai uscì dall’Italia) ha quindi raccontato e mostrato a tutti noi il mondo che Beccari aveva visto con i suoi occhi. L’esploratore fiorentino in tarda età scrisse anche un libro, Nelle foreste del Borneo, che avrebbe costituito una delle maggiori fonti d’ispirazione per lo scrittore torinese. E, di nuovo, la genesi di questo libro ha a che fare con i Brooke. Nel 1897 Lady Margaret, moglie di Charles Brooke secondo Raja del Sarawak, si reca in visita a Villa Beccari a Firenze. Come il marito, Lady Brooke aveva mantenuto negli anni un affettuoso rapporto epistolare col celebre botanico, e qualche volta era stato addirittura possibile rivedersi, perché i signori del Sarawak di tanto in tanto villeggiavano con i figli nei dintorni di Genova. Di tutti i suoi viaggi in Asia e in Africa, quello nel Borneo era stato per Odoardo il più memorabile; Margaret lo sapeva, e riesce a convincere il grande viaggiatore a dedicarsi alla più sedentaria di tutte le attività: scrivere un libro. Un libro che raccontasse la sua avventura in Borneo, i traguardi scientifici che vi aveva raggiunto, e soprattutto che servisse al buon nome del regno privato del Sarawak. Cinque anni dopo il volume uscì, a tiratura limitata, ed ebbe vasta risonanza all’estero – ma scarsa attenzione in Italia. E infatti quando morì nel 1920, Beccari era sostanzialmente dimenticato, nonostante la fama che gli aveva arriso in gioventù. Oggi è conosciuto solo da un pugno di botanici, zoologi, antropologi, cartografi, studiosi delle esplorazioni dell’Ottocento. A Firenze soltanto una tranquilla via di periferia porta il nome di questa singolare figura di scienziato-viaggiatore. Comunque, da quel che si sa, Salgari non ebbe mai modo di conoscere Beccari. Così come non incontrò mai Lady Margaret Brooke, nonostante quest’ultima nel 1898-99 vivesse a Bogliasco, vicino Genova, proprio nello stesso periodo dei due anni in cui Salgari abitò a Sampierdarena, sempre nei pressi di Genova. Oltre all’analisi di queste tematiche, l’ottimo libro di Ciampi contiene importanti riflessioni sulla natura del viaggio e sulla sua percezione nella storia: spesso quando si viaggia si sa da cosa si fugge, ma non cosa si cerca; viaggiare per abbandonarsi senza preconcetti alla conoscenza dell’altro da sé; l’Odissea come matrice di tutti i libri di viaggio e storia di un lungo, tormentato, disperante ritorno a casa.
Data recensione: 27/11/2011
Testata Giornalistica: Secolo d’Italia
Autore: Valerio Zecchini