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Prendi un affermato scrittore e invialo nelle chiese fiorentine a seguire la Messa domenicale per conto di un quotidiano. Il risultato è curioso: la “normalità” della vita religiosa che si svolge nelle comunità cristiane (ma non solo) di Firenze assume, r

Prendi un affermato scrittore e invialo nelle chiese fiorentine a seguire la Messa domenicale per conto di un quotidiano. Il risultato è curioso: la “normalità” della vita religiosa che si svolge nelle comunità cristiane (ma non solo) di Firenze assume, raccontata dalla penna di un professionista, un fascino speciale. Lo scrittore è Marco Vichi, l’inventore del commissario Bordelli, l’autore di “Morte a Firenze” e di altri fortunati romanzi di ambientazione fiorentina. Il quotidiano è il “Corriere Fiorentino”, dorso locale del “Corriere della Sera”, che nel 2008 chiese a Vichi di tenere una rubrica che raccontasse i luoghi di culto della città. Le chiesette storiche del centro e le chiese moderne di periferia, le piccole parrocchie e le comunità più numerose, quelle guidaste dal prete anziano e quelle che si riuniscono intorno al giovane parroco. Ma anche chiese rette da francescani, agostiniani, domenicani, scolopi. E perché no, i luoghi di culto della comunità episcopale americana, di quella valdese, di quella luterana. Fino alla preghiera del venerdì nella moschea e a quella del sabato nella sinagoga. Un viaggio che adesso è stato raccolto in un libro, “Pellegrinaggio in città”, edito da Polistampa. Un lavoro durato mesi che ha permesso a Vichi di scoprire, con sua stessa sorpresa, l’esistenza di una “Firenze che crede” che è più numerosa, più viva, più animata di quello che spesso si pensa o si vuole far apparire. Lui stesso lo ammette nel primo capitolo di questo libro, dedicato al convento francescano di Monte alle Croci: “Tornando verso casa ho pensato che dietro la facciata di una chiesa (ma dietro ogni facciata in generale) si possono trovare realtà sorprendenti”.
Realtà che magari, per chi frequenta abitualmente la parrocchia, non destano più di tanto meraviglia: la “Messa dei bambini”, durante la quale i messaggi del Vangelo vengono trasmessi con allegria e leggerezza, o l’omelia dialogata in cui il sacerdote pone domande e ascolta le risposte. O anche il clima di amicizia e di cordialità che si respira dopo il canto finale, quando tanti si fermano a parlare e a salutarsi. Tutti elementi che i fedeli conoscono bene ma che all’esterno non vengono percepiti, nascosti dietro un’immagine di Chiesa distorta o quantomeno parziale. Per questo, chiacchierando con Marco Vichi, è interessante capire che impressione gli ha fatto scoprire questo volto di Firenze. Nella sua casa della campagna fiorentina, mentre lavora ai fornelli, ripercorre volentieri questo “pellegrinaggio” che adesso è un libro.
Com’è nata l’idea di raccontare “l’anima religiosa” di Firenze?
“È stato il direttore del Corriere Fiorentino, Paolo Ermini, a farmi questa proposta: vorremmo farti fare l’”inviato” alla Messa domenicale, mi disse. Sono rimasto stupito perché non sono molto dentro a questo aspetto della vita. L’idea però mi è piaciuta, rientrava nello stile che il giornale voleva darsi, di “raccontare Firenze ai fiorentini”. C’erano molte cose che non conoscevo e ho cercato di avvicinarmi a questo mondo in punta di piedi, opsseravdo, chiedendo, sempre con animo sereno e rispettoso”.
Come sono state scelte le chiese da visitare?
“Volevamo offrire uno spaccato il più possibile ampio ed esauriente, per questo c’è una grande varietà di esperienze diverse, quelle “di frontiera” ma anche quelle “normali”. Alcune me le ha proposte il giornale, altre le ho scelte io, compreso la moschea e la sinagoga che mi sembrava giusto aggiungere per avere un panorama più completo”.
Che idea si è fatto della religiosità dei fiorentini? Nelle pagine si nota una certa sorpresa…
“È vero: intanto ho trovato tante chiese piene, più di quanto mi aspettassi. Ho trovato una fede, un attaccamento alla religione molto forti. Un’appartenenza religiosa che viene vissuta anche in relazione con la vita quotidiana, con il sociale: tra gli “avvisi” che vengono dati a fine celebrazione ho sentito spesso richiamare attività sociali, culturali, di solidarietà. E più si va verso chiese marginali, piccole o di periferia, più mi sembra che questo aspetto sia presente: comunità che portano avanti il messaggio evangelico anche in maniera concreta, con gesti, iniziative. Non so se questo è un aspetto che si trova anche in altre parti d’Italia o se è tipicamente fiorentino, ma certo ho trovato nei luoghi di culto della città una fede non astratta, legata alla vita, all’uomo”.
Nelle chiese cattoliche che ha visitato e di cui racconta c’è anche una grande varietà di stili e di impostazioni pastorali, che traspaiono anche dalla liturgia…
“Dal punto di vista liturgico ho trovato atmosfere molto diverse, alcune più vivaci e festose, altre più solenni, accompagnate da musica d’organo, da canti eseguiti dai ragazzi oppure dal gregoriano o dal gospel. In alcune chiese tutti si prendono per mano al Padre Nostro, in altre il momento dello scambio della pace è particolarmente sentito e partecipato. In alcune chiese, alla preghiera dei fedeli viene lasciato spazio per interventi liberi e spontanei, in altre durante la celebrazione ci sono lunghi momenti di silenzio. Ma dappertutto le celebrazioni mi sono sembrate vissute con partecipazione, serietà, raccoglimento”.
Ha incontrato anche tanti sacerdoti. In un momento in cui si parla tanto dei preti, e non sempre in maniera positiva, lei spende invece parole benevole. Che impressioni ha ricavato da questi incontri?
“Prima di visitare ogni chiesa ho sempre concordato la cosa con il parroco, telefonando, chiedendo il permesso, e dopo le celebrazioni mi sono sempre fermato a scambiare qualche parola. Ho avuto la fortuna di incontrare delle belle persone. Persone che credono in quello che fanno, preti contenti di essere preti. Persone anche molto impegnate a fare qualcosa di buono per gli altri. Persone, mi viene da dire, che sotto l’abito sacerdotale hanno mantenuto tutta la loro umanità. Preti che hanno una bella relazione con le persone che frequentano le loro chiese, capaci anche di fare una battuta sulla Fiorentina o di scherzare con i bambini. Certo, con tante differenze tra loro: il parroco che è stato vent’anni a lavorare con i tossicodipendenti, o che vive nel quartiere di periferia, ha impostazioni diverse rispetto a chi vive in altre realtà. Ma in generale ho trovato chiese in cui il mondo entra, chiese4 accoglienti in cui uno non si sente isolato”.
Continuerà prima o poi questo viaggio?
“Mi piacerebbe, è stata una bella esperienza. Ma è stato anche un lavoro molto impegnativo di ricerca, contatto, raccolta di dati e di informazioni prima ancora che di scrittura, non so se ci sarà occasione e tempo in futuro. Certo che ho trovato una grande ricchezza di atmosfere e di umanità che magari potrebbe tornarmi utile in qualche prossimo romanzo”.
L’intervista è finita, resta ancora da fare una annotazione: in questa galleria di chiese e di persone c’è anche don Elio Agostini, il parroco dell’Isolotto scomparso nell’aprile scorso. Nel capitolo che lo riguarda si racconta della sua omelia appassionata e del suo accento fiorentino, delle sue domande ai bambini che conosce per nome, del suo andare in mezzo alla gente al momento dello scambio della pace. Per chi lo ha conosciuto, sono pagine che rievocano piacevoli ricordi.
Data recensione: 18/07/2010
Testata Giornalistica: Toscana Oggi
Autore: Riccardo Bigi