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Roma, 24 ago (Il Velino) - Una discriminazione sottile, mascherata, più adatta all’era del politicamente corretto, ma non per questo meno preoccupante, perché perpetra striscianti tendenze discriminatorie, sebbene nascoste dietro l’apparente accettazione

In un saggio della sociologa Roldàn la discriminazione nella Città eterna. “Ma la Capitale resta comunque molto aperta”
Roma, 24 ago (Il Velino) - Una discriminazione sottile, mascherata, più adatta all’era del politicamente corretto, ma non per questo meno preoccupante, perché perpetra striscianti tendenze discriminatorie, sebbene nascoste dietro l’apparente accettazione delle differenze. È il volto che assume l’intolleranza nella Capitale secondo lo studio “Immigrazione, cultura e religione. Forme di razzismo a Roma”, condotto da Verónica Roldán, sociologa e docente di Metodologia della ricerca sociale all’università di Roma Tre. Il saggio - che fa parte della raccolta di contributi sul tema della discriminazione nella società contemporanea “Il colore della pelle di Dio. Forme del razzismo contemporaneo” (Polistampa) - parte dall’esperienza di quei migranti “fortunati” il cui percorso di integrazione è perfettamente riuscito. Analizzando la loro storia con una ricerca sul campo, la sociologa ha constatato i comuni luoghi comuni cui tutti devono ancora sottostare. Dall’attore filippino che ottiene parti solo per interpretare ruoli da domestico o da domestico-assassino nelle fiction, al marocchino al quale il vicino di casa italiano chiede meravigliato come sia riuscito a risolvere un problema al quale lui non aveva trovato soluzione. “Siamo in un’epoca dove prevale il politically correct - spiega l’autrice al Velino - e la tesi della superiorità di alcune razze sulle altre è stata ormai superata. Eppure il razzismo permane: le sue ragioni si sono spostate dalla sfera biologica a quella culturale”.
È così che nasce quello che Roldàn definisce “neo-razzismo”, ovvero un atteggiamento che per certi versi elogia le differenze ma le considera ascritte e immutabili, sostenendo la necessità di tenere distinte le culture e i gruppi etnici per preservare le proprie identità. Un fenomeno preoccupante, che ammette l’accesso a determinati lavori delle varie etnie migranti, ma in maniera quasi esclusiva: del tipo, va bene un certo tipo di impiego, ma senza pretendere di più. In questo modo, nonostante l’azione congiunta delle istituzioni pubbliche e dell’associazionismo, a livello sociale agiscono ancora gli stereotipi. Magari nella forma di un razzismo soft e perbenista ma comunque rilevante, tale da lasciare lo straniero in una condizione di cittadinanza sospesa. Roma città razzista, dunque? Nemmeno per idea. “La Capitale resta una città tutto sommato molto aperta - afferma la docente - dove il razzismo è più che altro un pregiudizio. È teorico più che pratico e lascia il posto all’accettazione dell’altro non appena si entra in contatto diretto col migrante”.
Data recensione: 24/08/2010
Testata Giornalistica: Il Velino
Autore: Paolo Fantauzzi