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7/10 di San Giovese, 2/10 di Canaiolo, 1/10 di Trebbiano e Malvasia. Non è la formula per tramutare il piombo in oro, e nemmeno la ricetta per l’elisir dilunga vita, ma poco ci manca: è il disciplinare del Chianti. C’è stato un altro Bettino nella storia

7/10 di San Giovese, 2/10 di Canaiolo, 1/10 di Trebbiano e Malvasia. Non è la formula per tramutare il piombo in oro, e nemmeno la ricetta per l’elisir di lunga vita, ma poco ci manca: è il disciplinare del Chianti. C’è stato un altro Bettino nella storia politica italiana. Non si è spento tra datteri e telecamere a circuito chiuso, nell’esilio dorato di Hammamet, ma tra vigne e colline, nel ritiro del castello di Brolio. Era barone, discendente di una delle più antiche casate toscane: di cognome faceva Ricasoli, di nome Bettino. Proprio in questo periodo di polemiche sugli inni e meste ricorrenze unitarie m’è capitato tra le mani un libro dedicato a uno dei padri, si potrebbe dire “babbi”, del Risorgimento: Siamo Onesti! di Michele Taddei, con una prefazione di Francesco Ricasoli (Mauro Pagliai Editore).
Gonfalone, Dittatore, due volte Presidente del Consiglio (1861-62, 1866-67), monarchico repubblicano, feudatario illuminato, conservatore progressista, cattolico anticlericale, Savonarola e Cincinnato, il personaggio è di quelli che meriterebbero una miniserie in due puntate sui canali nazionali. Ma il Barone è una persona troppo schiva e aristocratica da farsi impagliare nella lunga galleria Martiri&Eroi che la fiction colleziona a uso e consumo della retorica nazionale.
Il volume di Taddei, con volenterosa passione, cerca di ricomporre le anime di questo grande del Risorgimento, schiacciato tra il dualismo Cavour-Garibaldi, offuscato dal narcisismo di Vittorio Emanuele II, intimorito dalla statura intellettuale di Mazzini e dal carisma di Garibaldi. Ne emerge il ritratto sfaccettato di un gran lavoratore, “un uomo del fare”, ai tempi in cui al dire seguiva davvero il fare. C’è un Ricasoli viticoltore che viaggia per la Francia in cerca del segreto della perfetta vinificazione, un Ricasoli feudatario che fa dell’agricoltura il suo apostolato e dei coloni i suoi discepoli, c’è l’innovatore che introduce l’agricoltura meccanizzata e cerca di bonificare la Maremma, e il capitalista visionario che fonda testate giornalistiche e sogna la strada ferrata.
C’è il Ricasoli nobile e superbo, di cui persino Sua Maestà ha soggezione, e l’umile servitore dello Stato che se ne sta chiuso nel suo studio a cercare di fare dell’Italia una Nazione (c’è ancora da lavorare) e attende la domenica per andare a mangiare in un’osteria fuori porta mescolandosi tra la gente comune. C’è il Bettino pubblico che Camillo stima ma non ama, e il Bettino privato, uomo schivo e solitario, segnato dai lutti familiari e dalle amarezze della politica. Come in un arazzo cucito in drappi via via sempre più grandi, la storia personale di Ricasoli, si lega a doppio refe alla storia del Chianti, della Toscana, della Patria. Per un nobile di talento come lui, il passo dalla campagna alla città più che un modo per svernare , è un destino luminoso, quello del comando, che lo porterà dall’amministrare una tenuta nel Chianti a governare il Paese. È a Ricasoli che il Granduca affida il compito di formare il governo nel tumultuoso ’48, ed è lo stesso Ricasoli che nel ’59 assiste fiducioso alla cacciata da Firenze di Leopoldo II detto “Canapone”, pare per via di quei capelli ispidi e biondicci color del canape. Ancora Ricasoli dietro al successo politico del plebiscito del 1860, sempre Ricasoli a dover negoziare una pace indecorosa dopo la III Guerra d’Indipendenza. Ne viene fuori il profilo di un uomo autoritario e cocciuto, ma all’occorrenza leale e coraggioso. Un traghettatore o un sergente di ferro, a seconda dei casi, una di quelle personalità di garanzia buone per guidare i governi balneari della Prima Repubblica o la Nazionale dopo un mondiale fallimentare, un Ciampi o un Lippi cui affidarsi quando il paese è sommerso dagli scandali, l’opinione pubblica ostile e i nemici alle porte.
Dell’uomo che rifiutò il biglietto ferroviario gratuito e l’indennità parlamentare (altro che auto blu), del Barone di ferro che si definì l’uomo del momento, e di gente come lui avremmo un dannato bisogno. Ma al momento, al timone abbiamo un altro uomo del momento. Sarà che ci sono momenti e momenti...
Data recensione: 24/06/2010
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Filippo Bologna