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Se l’antico centro di Firenze non fosse stato raso al suolo dal cosiddetto «piccone risinatore», «in nome dell’igiene e dell’ordine pubblico», oggi sarebbe una città nella città, ma non esiste più

Se l’antico centro di Firenze non fosse stato raso al suolo dal cosiddetto «piccone risinatore»,  «in nome dell’igiene e dell’ordine pubblico», oggi sarebbe una città nella città, ma non esiste più e questo perché, sul finire del XIX secolo  «una generazione [ha potuto] permettersi di dissipare, distruggendole, le testimonianze materiali di un tessuto storico fittamente intrecciato di luoghi, ornamenti, memorie (Cristina Acidini)», facendo così subire al patrimonio culturale italiano «la perdita in assoluto più grave (Antonio Paolucci)» dell’età moderna.
Ora grazie alle oltre trecento immagini, in gran parte inedite, contenute nell’opera di Maria Sframeli è possibile farsi un’idea dell’entità di quella perdita e della conseguente profonda ferita inferta al corpo della città. L’Autrice, prima di lasciare la parola alle immagini ripercorre brevemente la sequenza dei provvedimenti che costituì la giustificazione politico-amministrativa del «riordino» del centro storico, rilevando come le demolizioni ebbero inizio già a partire dal  «piano di intervento parziale» del 1881, proseguendo con il piano regolatore generale, approvato il 2 aprile 1885, modificato successivamente in “senso ancora più distruttivo” col R.D. Dell’8 marzo 1888.
Il piano urbanistico, proprio per l’entità delle demolizioni che comportava, suscitò le aspre critiche della parte più colta e sensibile dei circoli culturali, ma soprattutto della comunità angloamericana presente a Firenze. Critiche che spinsero la giunta comunale ad istituire,sempre nel marzo del 1888, una Commissione Storico Archeologica con lo scopo di studiare e documentare, prima di procedere con le demolizioni, tutto ciò che poteva  «interessare l’arte e la storia». Ma quella prima commissione, pur modificata e integrata, sia a causa della  «difficile coesistenza (al suo interno, n.d.r.) di studiosi e di uomini di potere», sia per i contrasti relativi alle diverse priorità attribuite di volta in volta all’oggetto stesso delle operazioni di rilevamento e studio e, non ultimo, per la scarsezza dei mezzi a disposizione non riuscì a conciliare i tempi necessari allo svolgimento dei suoi compiti con “la furia delle demolizioni e ricostruzioni in corso”. Così, per ovviare ai problemi verificatisi, la giunta  comunale fiorentina, il 1 aprile 1892, varò la nuova Commissione Storica Artistica Comunale che, come evidenziava il nome, escludeva dai suoi compiti l’archeologia.
Fu proprio la nuova commissione, come la Sframeli, documenta in modo puntuale, che ricorrendo all’uso sistematico della fotografia, forse per la prima volta con intento documentario (nonostante in consiglio comunale qualcuno ritenesse inutile  «fotografare dei ruderi»), riuscì a garantire l’esigenza di fissare per sempre, con lo scopo di documentare e studiare, le immagini di quell’eccezionale patrimonio artistico e architettonico ormai destinato alla distruzione, laddove la rapidità delle demolizioni impediva di procedere in tempo alle misurazioni.
La Commissione Storica Artistica Comunale iniziò a fotografare, dall’agosto 1892, quel che ancora rimaneva in piedi dell’antico centro storico – il Ghetto ebraico era già stato demolito da alcuni anni.
Adesso il risultato di quell’importante opera di documentazione si trova riprodotto in questo bel libro. Si tratta di immagini che vanno direttamente al cuore e che riescono, meglio di qualsiasi parola, a documentare la gravità della perdita inflitta a Firenze con la demolizione del suo nucleo medioevale. Solo in alcune fotografie è ancora presente qualche momento di vita quotidiana, mentre  nella grande maggioranza di esse si ha l’impressione di trovarci davanti ad una città fantasma,  «una Pompei del XIX secolo o piuttosto una  deserta Sana dello Yemenper l’altezza e la compattezza delle costruzioni», come acutamente sottolinea Maria Sframeli. Ma proprio quel senso di desolazione e sgomento che le immagini trasmettono ci impedisce ogni distrazione e ci permette di riflettere sul significato e le conseguenze di quella perdita. Le fotografie proposte rappresentano infatti l’ultima testimonianza di un patrimonio storico e architettonico che, in mancanza di esse, sarebbe difficile anche solamente immaginare.
L’opera di Maria Sframeli non fornisce le risposte ad alcuni interrogativi: come èstato possibile tutto ciò? Perché un’operazione urbanistica ha comportato una distruzione simile? Ma questo,a mio avviso, non è lo scopo del libro, piuttosto la lettura del testo e la visione delle immagini possono far riflettere e venire il dubbio sulla possibilità che la distruzione dell’antico centro storico abbia rappresentato la continuazione e la conseguenza di un “costume” e di un modo di intendere la politica urbanistica inaugurati già al tempo di Firenze capitale d’Italia. Se infatti ci chiedessimo perché, allora, le antiche mura furono abbattute non troveremmo,forse, la stessa difficoltà a rispondere?
Data recensione: 01/01/2009
Testata Giornalistica: Rassegna Storica Toscana
Autore: Leonello Toccafondi