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Per questo invito alla lettura oggi vi presentiamo il primo capitolo del libro di Nicola Bianchi dal titolo Dodici lunghissime ore. È il racconto ironico e divertente delle vicende di un gruppo di amici alle prese con l’altro sesso e

Per questo invito alla lettura oggi vi presentiamo il primo capitolo del libro di Nicola Bianchi dal titolo Dodici lunghissime ore. È il racconto ironico e divertente delle vicende di un gruppo di amici alle prese con l’altro sesso e con le difficoltà della vita che a quarant’anni suonati continua a rimanere instabile e sentimentalmente precaria.

Il calcetto oltre ad essere un’attività sportiva è una scienza, una filosofia di vita. Le ridotte dimensioni del campo esaltano gli schemi di gioco, il palleggio ed il controllo della palla. La preparazione atletica passa in secondo piano. E meno male perché noi, tutti e cinque quarantacinquenni, di fiato non ne abbiamo. Fumiamo e neppure poco. Allenamenti niente e ci manca anche la tecnica, la filosofia e tutte quelle stronzate lì. Anzi, ci sono proprio estranee. Nel campionato siamo ultimi. Per i nostri avversari invece il calcetto è una scienza. Perfetta. Avete presente quelli che giocano, fogatissimi, per vincere sempre, perennemente all’ombra di onnipresenti bottigliette di integratori con quello stupidissimo tappo che somiglia, a scelta, al biberon o al seno materno? Ecco con noi si rilassano pure loro. Non litigano, come di solito per una sospetta rimessa laterale o minacciano pugni per inesistenti falli. Neppure si avvicinano, pallone al piede ed occhi iniettati di sangue disposti a tutto, ma veramente a tutto, pur di passarti oltre e buttare la palla nella tua porta. Di giorno innocui dipendenti statali, la sera serial killer disposti a sbranarti. No, con noi diventano disponibili, tolleranti. Soprattutto sul dieci a zero. Penso lo considerino il minimo sindacale. Conseguito questo traguardo sembra addirittura che le loro lucidissime scarpette, molleggiate, traspiranti, intelligenti (spesso l’unica cosa in loro possesso con questa caratteristica) tolte da borse che sembrano ogni sera appena uscite da un negozio, tanto sono immacolate, con doppio scompartimento, roba puzzolente – roba inodore, brillino un po’ meno. E già questa deve essere una cosa difficilmente tollerabile per il proprietario di un articolo che vale quanto sei mesi di stipendio della persona che l’ha prodotto in un paese del lontano oriente. Ecco, a quel punto ci fanno anche giocare, non calciano più pallonate con il preciso intento di uccidere e non si avvicinano con il dichiarato scopo di menomarti. Intendiamoci, in porta non ci fanno tirare a costo della vita come sempre, ma a centrocampo sembrano quasi umani. Siamo ultimi ma a tre punti. Una sera la squadra avversaria è rimasta bloccata sulla Firenze- Pisa-Livorno. Avrebbero perso comunque. Quella sera eravamo caricatissimi. Invincibili. Almeno sulla carta. Il doppio aperitivo allo Scusa Mario ci aveva resi delle macchine da guerra e dopo, per festeggiare, alcol a fiumi nello stesso locale fino alle tre. La nostra è una squadra molto equilibrata, in attacco come in difesa diamo il meglio di noi. Davanti sulla destra abbiamo Alessandro, alto, bello, avvocato con pochi clienti e moltissimo tempo libero. Sposato dieci anni fa e con una figlia adolescente. Cinzia se n’è andata da cinque anni. No, non se n’è andata, gli ha fatto trovare le valigie sul pianerottolo e la serratura della porta di casa cambiata. La nuova chiave l’aveva un suo collega di ufficio. Un’appassionata di giurisprudenza evidentemente. Accanito consumatore di Camel e Negroni. Alla sinistra c’è l’Ondosi, geometra impiegato alla discarica di Campi. Misura la quantità di immondizia che viene ogni giorno scaricata. Conosce per nome ogni gabbiano che vive dove lui lavora. A scuola era il più bello della classe. A quattordici anni ne dimostrava venti. Gli permettevano di portare i capelli lunghi e aveva un piccolo tatuaggio artigianale sul braccio fatto con ago e inchiostro. E chi l’aveva mai visto alle medie un tatuaggio vero! L’idolo delle ragazze. Oggi di anni ne dimostra più di quelli che ha, sfoggia una deliziosa pancetta e ha perso molti dei lunghi capelli di un tempo. Il suo tatuaggio è diventato un ammasso di puntini neri a confronto dei film a colori con tanto di sonoro che le persone oggi si fanno tatuare da esperti artisti. Dimostrazione vivente che esiste una giustizia divina. Fuma sigari toscani e beve quantità industriali di tequila. Senza figli. Rosita, la ex moglie vive a Roma e lavora per una compagnia aerea. Tutti i giorni prega che al suo aereo succeda qualcosa e che lei si rompa un’unghia e si rovini la messa in piega. In porta abbiamo Massimo, lunga convivenza con Vichi, piemontese conosciuta a Rimini un mese dopo la fine di una storia cominciata nell’adolescenza. Quando lei prendeva il treno, dopo un fine settimana a Firenze, lui versava fiumi di lacrime ed io ero talmente geloso di queste sue forti emozioni che un anno dopo, conosciuta una veronese a Riccione la invitai subito a casa mia. Una delusione. La domenica sera a Santa Maria Novella niente. Il treno che si allontanava e io niente. Ultimo vagone del convoglio sfuma alla mia vista e niente. Esco dalla stazione e, magicamente, mi viene un po’ di… agitazione. Mi concentro per leggere meglio dentro di me. Sono le nove e mezza e non so dove sono gli amici. Questa sì è una cosa da piangere. Tre figli, due loro e uno adottato un anno prima di lasciarsi, quando tutti sapevamo già che sarebbe finita. Sì perché lei aveva, già da tempo, cominciato ad accumulare buoni pasto. Invece di andare a pranzo con i colleghi in qualche bar, raggiungeva un alimentari della zona dove lavorava e pranzava in maniera alternativa. All’una, al momento della chiusura del negozio si infilava lì dentro e il proprietario, tale Babbea, svestito del grembiule con su scritto Galbani la intratteneva, fra un panino con la mortadella e uno con la provola, con attenzioni di diversa natura. Barbiere a tempo pieno e grande consumatore di romanzi di John Grisham e di Jack Daniels. Inteso come bevanda alcolica. Economicamente è il più solido, un po’ perché non dissanguato dalla ex, piena di soldi, un po’ perché è sempre stato… morigerato nelle spese. Non sempre però. Fino a diciotto anni spendeva, il sabato sera, tutta la paga settimanale da apprendista parrucchiere. Dopo, la metamorfosi. La paga gli arrivava quasi intatta fino al sabato successivo. Nessuno ha mai saputo cosa può aver determinato un cambio di rotta così estremo. Alla sinistra della difesa c’è Carmine, impresario edile di indiscusso insuccesso. La concorrenza degli albanesi prima e dei rumeni poi Dodici lunghissime ore l’ha portato al collasso. Mentale più che fisico. In realtà è sempre stato al tubo del gas. Incapace di fare l’imprenditore ma grande conoscitore di ristoranti e bar. Senza figli. Una ex moglie che durante una vacanza in un villaggio turistico in Tunisia ha perso la testa per uno dell’animazione e lì è rimasta. Da allora non ha più lasciato il bel paese. Alla perenne ricerca di una fidanzata che quando trova non vuole più. La sua passione sono Malboro, Ceres e Black Russian, un intruglio composto da vodka e kahlùa. In due versioni. Quella estiva con ghiaccio e quella invernale con panna scekerata. Non montata, rigorosamente scekerata e neppure troppo. L’unico assente, ormai da anni è Mario. Non vive più a Firenze. Al liceo era l’unico che studiava. Cosa per noi incomprensibile. Campione di tennis e di pesca subacquea. Una volta è finito sulla Nazione, un quotidiano di Firenze, per aver recuperato una nave da guerra affondata. “Subacqueo fiorentino recupera cacciatorpediniere.” Era solo un modellino affondato in un laghetto du rante una dimostrazione, però il dato è emblematico. Non c’eravamo, ma mi sembra di vederlo. Un mucchio di gente che nuota in un’acqua sporca. Profondità massima due metri ma nessun risultato. Escono tutti e lui, con l’aria di chi dice “e se non siete capaci ci penserò io” si mette in mutande, entra nel laghetto e ne esce con la nave in mano. Molti anni fa eravamo al mare, io avevo un gommone. “Mi porti là, dove ci sono quegli scogli che affiorano?” Arriviamo, indossa la muta ed entra in acqua. Sta sotto qualche secondo e poi mi chiede di passargli il fucile. Torna sotto e dopo un minuto buono riemerge. Mi passa il fucile ormai scarico. “Recupera tu, io torno a nuoto.” Tiro su la sagola che unisce il fucile alla fiocina. Un dentice di un paio di chili infilzato alla perfezione in mezzo alle branchie. Non so come ho fatto a non passargli sopra con il gommone tornando alla spiaggia. Sposato… felicemente sposato, con tre splendide figlie. Lo vediamo poco ma, negli anni, tutti noi ci siamo staccati dal gruppo per periodi più o meno brevi. La cosa sorprendente è che l’essere amici annulla il tempo. Quando siamo insieme o quando qualcuno è in difficoltà tutti ci sentiamo ugualmente coinvolti, sicuri della solidarietà attiva degli altri. Frequentarsi è legato a ciò che fai insieme. Essere amici è quella fantastica storia d’amore che fa sì che ognuno di noi non resterà mai solo per il resto della vita. E poi ci sono io. Un divorzio circa venti anni fa. Praticamente in piena adolescenza. In una mano un bicchiere di rum in tutte le varianti, accompagnato da quantità industriali di ghiaccio, anche in inverno e nell’altra una Chesterfield. Più in basso, non molto più in basso vista la mia statura non da cestista, i piedi più storti di tutta la contea. Alle elementari le squadre di calcio le facevano sempre Alessandro e Mario, i boss della classe. Io ero sempre l’ultimo a essere scelto. Una frustrazione infinita. Il fatto che ero bravissimo a nascondino mi riscattava soltanto agli occhi delle femmine. Frustrazione alla frustrazione. Ero l’unico a non conoscere la formazione della Fiorentina a memoria, a non avere vaghezza da che città venisse l’Inter e a non avere la Fiesta per la ricreazione. Sempre fette di pane, non panini che avrebbero nobilitato la merenda ai miei occhi e soprattutto a quelli dei miei compagni, con il prosciutto, la marmellata o altre cose tristemente sane. Una figlia, Penelope, che oggi compie un anno e che per tutta la durata della partita è stata buona e tranquilla nel suo passeggino. È uno strano esserino con poteri immensi su tutti noi. Il suo ingresso negli spogliatoi provoca sempre delle strane reazioni. All’improvviso tutti si coprono il corpo con immotivato imbarazzo. Ma mica facciamo orge, ci cambiamo e facciamo la doccia. Al limite le insegniamo la pulizia! Durante le partite nessuno di noi la perde di vista. Ci sembra impossibile che dieci chili di dolcezza prima o poi si trasformeranno in donna. E non aggiungo altro! Adesso siamo tutti insieme a casa nostra. A festeggiare il suo compleanno ed a brindare alla salute sua e di Andrea.
Data recensione: 04/08/2009
Testata Giornalistica: Metropoli
Autore: Jacopo Nesti