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Terrorismo, Pci, trame e servizi segreti. Sottotitolo di un libro in bilico sui buchi neri della storia italica contaminata da intrighi nostrani ed eterodiretti che ne intorbidano la ricostruzione. Ma leggendolo, gli

Terrorismo, Pci, trame e servizi segreti. Sottotitolo di un libro in bilico sui buchi neri della storia italica contaminata da intrighi nostrani ed eterodiretti che ne intorbidano la ricostruzione. Ma leggendolo, gli annunciati ingredienti dell’impasto non favoriscono la lievitazione della trama che galleggia senza riuscire ad immergersi in quegli abissi mai svelati. Almeno a leggere il capitolo de “Le vene aperte del delitto Moro” (Mauro Pagliai editore) dedicato alla colonna genovese delle brigate rosse non emerge il retroscena che può imbarazzare come invece era (almeno così pare) nelle intenzioni dell’autore, il professore Salvatore Sechi, ordinario di Storia Contemporanea all’Università di Ferrara e già consulente della commissione Mitrokhin. La rivisitazione del piombo rosso all’ombra della Lanterna è articolata attraverso l’intervista a Luigi Carli, oggi procuratore della Repubblica a Chiavari, all’epoca pm schierato in prima linea nella lotta all’eversione. In venticinque pagine il magistrato «sampierdarenese cresciuto al Campasso, ed ex militante della sinistra studentesca capace così di parlare il “politichese” » che firmò le carte del blitz nel covo di via Fracchia e gestì dissociati e pentiti analizza la genesi brigatista giungendo ad una sostanziale smitizzazione politica della colonna incapace di penetrare il tessuto sociale della città. Secondo Carli l’origine prettamente universitaria (soprattutto Lettere, Architettura e Medicina) e suo modo elitaria sulla quale si formò l’organizzazione sin dall’inizio tenne distante la base operaia. «Prevaleva l’impostazione militaristico-intellettuale. Nella colonna dove militarono in successione una sessantina di elementi trovai infatti due o al massimo tre operai dell’Ansaldo. La separatezza delle br dalle grandi fabbriche spiega il loro successivo fallimento a Genova». Rispondendo alle insistenti domande sul ruolo del Pci, della Cgil e sulla presunta linea, ideale e logistica, di contatto tra vecchi partigiani e brigatisti, Carli non fornisce gli elementi che l’intervistatore ricercava. «L’unico sedicente partigiano con cui ebbi a che fare nelle mie indagini e che venne arrestato dai carabinieri, era stato, a suo dire, una semplice “staffetta”. Siccome collaborò fin da subito, gli chiesi se, oltre a lui, vi erano altri ex partigiani nell’organizzazione, ricevendo una risposta negativa. Le successive indagini non lo smentirono. Anche i tentativi di Carlo Bozzo, capo del fronte logistico (e poi diventato uno dei pentiti più loquaci) di contattare ex partigiani per reperire materiale bellico non ebbero granché seguito ». A proposito delle formazioni politiche idealmente più vicine al movimento eversivo genovese Carli individua il Psi e i Radicali e non il Pci affermando che anche nella fase embrionale delle brigate rosse, per quanto abbia potuto ricostruire anni dopo, non risultarono contatti con il Partito comunista. E lo scambio di informazioni tra il generale Bozzo e il segretario del Pci Bisso avviato informalmente sin dal sequestro Sossi? «Non ho mai saputo di questi rapporti di collaborazione, nessuna informazione mi pervenne da tali fonti allorchè mi occupai della “Brigata Italsider” ». Cioè lo stabilimento dove lavorava Guido Rossa, il sindacalista ucciso. «Nella fabbrica la presenza delle br era assai modesta. Non più di dodici persone in tutto a fronte di migliaia di operai. Una volta identificati i componenti della “Brigata” non si rivelarono persone di spessore rivoluzionario né di grande carisma. Escludo che Guido Rossa cercò di spezzare un tentativo di infiltrazione. La sua scelta di testimoniare in giudizio ha i connotati di un’opzione autonoma e soggettiva tipica delle generosità e dell’impegno civile dell’uomo Rossa. In proposito illuminanti appaiono le dichiarazioni a verbale di Gianni Cocconi che fu il responsabile della “Brigata” che quale operaio e sindacalista ben conosceva l’ambiente di fabbrica. Escluse ruoli intedittivi di Rossa o di qualche altro». Si è detto che dopo quella politica originata dalla morte di Guido Rossa, l’irruzione dei carabinieri in via Fracchia con la morte di quattro brigatisti segnò la sconfitta militare. Per Carli non fu così. «Quello scontro a fuoco non indebolì né compromise la colonna. Anzi essa si costituì come realtà soprattutto militare subito dopo i fatti di via Fracchia e come reazione ad essi. Ne avemmo conferma sia per il materiale bellico recuperato nei covi sia per la biblioteca messa a disposizione dei “compagni”. I brigatisti genovesi, oltre a leggere i testi classici marxisti si indottrinavano soprattutto con le opere di Rosa Luxemburg. Erano strenui sostenitori dello “spontaneismo armato” rifiutando invece il centralismo di Lenin privilegiato dall’organizzazione centrale».
Data recensione: 06/07/2009
Testata Giornalistica: Corriere Mercantile - Gazzetta Del Lunedi’
Autore: Andrea Ferro