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Ha sguardo lungo e sensibilità raffinata Emiliano Gucci, fiorentino, che oltre a dedicarsi alla scrittura, lavora in libreria dove ha l’opportunità di osservare un’umanità varia e originale. Nei suoi tre romanzi precedenti, Donne e

Ha sguardo lungo e sensibilità raffinata Emiliano Gucci, fiorentino, che oltre a dedicarsi alla scrittura, lavora in libreria dove ha l’opportunità di osservare un’umanità varia e originale. Nei suoi tre romanzi precedenti, Donne e topi, Sto da cani, Un’inquilina particolare, aveva già rivolto l’ attenzione agli aspetti della nostra società, creando situazioni verisimili che poi ha dilatato con stupore e divertita ironia. In “Firenze carogna” sceglie di rinunciare alla fantasia, sopraffatto dall’assedio di un quotidiano sempre più estraneo, incomprensibile, ingiustificabile. Qui l’occhio si ferma, come per uno scatto fotografico, sulla realtà che gli scorre davanti, quella stessa che contiene anche lui. Firenze gli si presenta come una città su cui si sono impressi in profondità i segni delle trasformazioni, del degrado ambientale, culturale, sociale. Congestionata da traffico, smog, rumori, dove le buone regole del vivere si sono dimenticate, dove il sospetto pone sulle difensive e avanzano i segni ed i messaggi del disagio, della indigenza che si dilata, della emarginazione. Con la stazione di Santa Maria Novella che sputa e inghiotte quotidianamente eserciti di pendolari stanchi, automi dai gesti arrabbiati, i suoi sottopassi imbrattati, i servizi per il cittadino divenuti preziosi tanto che una toeletta ormai introvabile, che torna in vari racconti, pur nel suo nudo realismo, diventa elemento simbolico che si carica di tensione e di sofferenza fisica. Gesti ripetuti, manie quasi ossessive che nascondono il bisogno di comunicazione e di contatto umano, contengono i segnali della moderna fatica di vivere; le differenze sociali sono colte con umana simpatia verso i più deboli, quelli che non sono abituati a fare la voce grossa, che non hanno la prepotenza e l’ingombro di un SUV C’è nostalgia di bellezza nelle pagine di Gucci, di quella Firenze che i turisti si illudono ancora di trovare intatta come nelle cartoline, ma che si è ingrigita piano piano. Forse “è solo suggestione mia - conclude Gucci in un ripensamento finale, come un figlio che riconosce di essersi preoccupato un po’ troppo per una figura familiare - perché forse, in realtà, Firenze sta benissimo”. Anche se fosse così si  tratterebbe comunque di una salute anomala, mantenuta cancellando ogni forma di pensiero e riflessione, per accontentarsi di evasioni di superficie, di non valori, dopo la rimozione dei problemi reali: “Si svaga nei gol della sua squadra e nelle canzoni dei suoi artisti, nei videopoker…Nelle solite speranze che la politica possa cambiarla, questa città”. Firenze finisce per diventare un simbolo dei tempi che stiamo vivendo, ed ogni lettore, qualsiasi sia la sua città, si può riconoscere in queste pagine. Tuttavia, perché la storia ha i suoi corsi e ricorsi, perché quando si è giovani come l’autore -ma non solo!- è imperativo categorico sperare, anche queste storie dolorosamente vere si aprono alla speranza: “Spera, Firenze, negli occhi e nella voce dei suoi ragazzi più giovani e più svegli, nella loro lotta: una stella che s’infiamma nel buio, perché non può piovere per sempre”. E nella insensibilità che sembra  un nuovo modus vivendi, per fortuna rimangono ancora “certe storie private d’amore e di coraggio”.
Data recensione: 19/05/2009
Testata Giornalistica: Il sottoscritto
Autore: Marisa Cecchetti