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«Pontormo lavora in una stanza della sua modesta abitazione. Passa ora a disegnare, come ogni artista fiorentino, studia volti e corpi dei modelli, osserva il mutare di espressioni e posizioni, il continuo variare della realtà.

Nel volume di Maurizia Tazartes la vita di un grande del Cinquecento
«Pontormo lavora in una stanza della sua modesta abitazione. Passa ora a disegnare, come ogni artista fiorentino, studia volti e corpi dei modelli, osserva il mutare di espressioni e posizioni, il continuo variare della realtà. Disegna sé stesso, il suo giovane viso quasi imberbe, i garzoni, donne e fanciulli che lo sfiorano nella quotidianità. Attraverso torsioni e movimenti della figura scava nell’anima, nelle sue pieghe profonde».
Con queste semplici frasi, la storica dell’arte e giornalista Maurizia Tazartes, nel bel libro «Il ghiribizzoso Pontormo» (Mauro Pagliai) dà un’immagine efficace della vita di un grande pittore in un’epoca tanto importante quanto difficile della storia fiorentina, affollata di geni e traditori, di super potenti e tranelli. Provare e riprovare, studiare e ristudiare, disegnare, cancellare, sperimentare i colori: questo è quello che fa, senza sosta dal 1508 al 1557. Diranno di lui, e l’epiteto glielo inventerà il Vasari, che sempre lo guarderà con invidia, che fu «ghiribizzoso», cioè fissato, pieno di stranezze. Senza famiglia, senza ricchezze, senza gusto per viaggi e divertimenti. Ma dalla sua biografia esce un netto giudizio: il suo «ghiribizzo» era quello di dipingere, meglio e più degli altri. Da giovane garzone, riesce a farsi nemico il suo primo maestro Andrea Del Sarto e da grande, a quarant’anni, fa andare in bestia il concorrente super protetto Francesco Salviati, nonché il Vasari, forse l’uomo più potente al tempo di Cosimo I. Ma sarà amico dei maggiori intellettuali del tempo. Il libro racconta come Jacopo non rinunci mai a guadagnarsi la vita con l’arte, sia che si tratti di costruire caduchi trionfi stradali o carri celebrativi per i personaggi che entrano in gran pompa a Firenze, sia che riesca a farsi affidare ornamenti per chiese, palazzi, camere nuziali, sia che affronti i grandi affreschi o le celebri tele, sia quando per fuggire la peste non trova di meglio che trasferirsi alla Certosa del Galluzzo per affrescare. Sta infilato fino in fondo nelle passioni di una Firenze che guarda ai grandi suoi e alle lezioni romane, ma sa ascoltare anche i messaggi della «maniera tedesca», quando arrivano gli echi del Dürer. E così, aggiungendo alla sua padronanza del corpo umano la libertà creativa degli studi nordici, riesce a imprimere una certa divincolata originalità che lo stacca, maestro superbo, dal classico Rinascimento italiano.
Lo studio di Tazartes avrebbe potuto perdersi nella descrizione dei capolavori ben noti dell’artista, a cominciare dal meraviglioso «compianto» di Santa Felicita, ma l’autrice è riuscita ad addentrarsi nei fatti biografici, dando un ritratto perfetto dell’uomo, dalla contenuta modestia dello stile di vita di scapolo appena consolato dai ragazzotti, tradizionali modelli dei pittori, fino alla felice influenza dell’unico grande affetto, quello per il Bronzino, allievo e fedelissimo amico. Il libro viene presentato oggi (ore 16) alla Biblioteca degli Uffizi da Cristina Acidini, Marcello Ciccuto e Claudio Di Benedetto.
Data recensione: 15/01/2009
Testata Giornalistica: Il Corriere fiorentino
Autore: Wanda Lattes Nirenstein