chiudi

Mi hai detto che l’amore non dura, che l’amore finisce. Lo dicono in tanti, lo dicono tutti. In Germania vogliono introdurre il matrimonio a tempo, a scadenza: dopo 7 anni il matrimonio scade e i due coniugi

Il brano, riprodotto per gentile concessione dell’autore, è tratta dal libro “Chiamami ancora amore”, edito da Mauro Pagliai Editore nella nuova collana «Le ragioni dell’Occidente»  Mi hai detto che l’amore non dura, che l’amore finisce. Lo dicono in tanti, lo dicono tutti. In Germania vogliono introdurre il matrimonio a tempo, a scadenza: dopo 7 anni il matrimonio scade e i due coniugi possono decidere se rinnovarlo o cancellarlo. Insomma un contratto tra due aziende. Dopo 7 anni l’azienda A può decidere se le è più conveniente prolungare il contratto di altri 7 anni con l’azienda B oppure chiudere la pratica senza costi e avvocati. Molti ci hanno già fatto l’abitudine. Molti non provano più neppure turbamento. In Spagna mamma e papà hanno smesso di chiamarsi mamma e papà: vengono chiamati Progenitore A e Progenitore B; la famiglia ha smesso di chiamarsi famiglia: si chiama progetto parentale fatto tra il coniuge Uno e il coniuge Due.
E noi? E il nostro amore? È così?
Ho letto su una rivista che molte giovani coppie in America e in Europa, prima di sposarsi, firmano insieme un contratto pre-matrimoniale, chiarendo bene i termini di un’eventuale separazione. Come dire: noi ci proviamo, però se non funziona, c’è un contratto che decide cosa spetta a me e cosa spetta a te. Un contratto. Ecco cosa dice il contratto: se le cause del divorzio sono dovute ad un tradimento, chi ha tradito prende solo il 25% dei beni condivisi, non la metà. In caso di figli, dopo il divorzio, la mamma tiene i bambini e il babbo li può vedere e starci assieme 2-3 giorni ogni 2 settimane, il sabato e la domenica o diversamente a seconda della tipologia di lavoro della madre. Il padre può tenere i figli in caso di abbandono volontario da parte della donna. Questo è il contratto che firmano le giovani coppie prima di sposarsi. Una tutela nel caso in cui le cose non vadano. Un contratto tra due sponsor o due aziende.
E noi? E il nostro amore? È così?
In Italia le due canzoni che adesso stanno vendendo milioni di copie e sono in testa alle classifiche musicali parlano della fine dell’amore ed hanno un titolo che dice: “Dimentica”.
Queste sono alcune frasi che ho sentito in televisione. Te le trascrivo qui, una di seguito a quell’altra. Leggile, amore mio. “Divertiti e stai con lui fintanto le cose funzionano, e quando le cose non vanno più bene, quando le cose si fanno serie e complicate, lascia perdere, dimentica. Fai passare un po’ di tempo e avanti il prossimo”. “La vita è breve: divorzia. Tutto è bene quel che finisce. La vita è breve: lascialo e troverai di meglio”. “L’amore è eterno finché dura”. “La famiglia è morta”. “Ci sono tanti tipi di famiglia: un uomo che ama una donna, un uomo che ama un uomo, un uomo che ama un cane, un uomo che ama una statuetta di gesso. Sono tutte famiglie. Tutte uguali. Tutte sullo stesso livello”. “Se va, va, altrimenti ci lasciamo”.
E noi? E il nostro amore? È così? Così gridato? Così muto?
Queste passioni impetuose, che in modo impetuoso arrivano e in modo improvviso e impetuoso se ne vanno, questi amori usa e getta che stanno dilagando nella nostra società sembrano piccoli fatti insignificanti. Sono invece passi enormi. Sembrano sciocchezze. Sono invece tumulti sotto terra.
E noi? E il nostro amore? È così?
Eccoci. Srebrenica. Ti scrivo da qui, dal luogo del più grande genocidio in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale. In tre giorni, più di 8.000 persone sono state massacrate con un colpo di fucile alla nuca o alla milza. La candela che ho acceso appoggiandola su un muretto comincia a fondere la cera sul piattino. Non vale nulla una candela, ma non mi viene nessuna parola, nessuna parola utile da scrivere. I nomi. I nomi di chi è stato massacrato e gettato in una fossa comune, bruciano più di qualunque discorso. 8106 persone finora rintracciate sotto un sottile strato di terra e macerie. Nel centro di identificazione dei cadaveri di Tuzla ci sono tanti sacchi di plastica con dentro i resti: sono tutti in fila, uno sopra l’altro, imbustati. Ciascun sacco, un uomo, un ragazzo, un vecchio, forse due individui, la mascella di uno, il femore di un altro, le dita di un altro ancora, la mandibola destra, i denti, le falangi, l’incavo di un bacino. Trascrivere i nomi, metterli l’uno di fianco all’altro, è la sola cosa che sento giusto fare. Ho sempre fatto presto a dire: 1.000 morti, 2.000 morti, 5.000 morti, 20.000 morti. Le cifre sono tonde e veloci. Ma trascrivere i nomi uno ad uno delle 8106 vittime di Srebrenica è un muro. Le recinzioni che delimitano le zone di scavo per il disseppellimento e l’esumazione dei cadaveri sembrano scavi per riparare le tubature rotte. Chi erano tutti questi uomini, questi giovani? E le loro ragazze, cosa avranno provato? E i loro bambini? Sapevano di venir assassinati? Avranno fatto la pipì quella mattina come tutte le altre mattine? Qualcuno si sarà fatto la barba con il rasoio? Qualcuno avrà pensato quanto bello sarebbe stato in quel momento fare l’amore?
«Avrò violentato più o meno quattordici donne» confessa uno dei sicari ad un giornalista. «Ero lo sgozzatore di turno... quello che uccideva con il coltello. Succedeva che alla sera mi chiamavano e mi dicevano: sgozza quello. E io lo facevo. Con la mazza e il coltello. Sì, la mazza da muratore, quella specie di martello grosso. Si chiama così, no? Si fa in questo modo: prima si dà un colpo di mazza sulla nuca, così la persona resta stordita. Poi si impugna il coltello, si prendono i capelli, si tira indietro la testa e si taglia». Si taglia dove? «Sulla gola, qui».
Non è accaduto 50 anni fa ma dieci, quindici. Cioè ieri.
La poetessa spagnola Amalia Bautista ha scritto alla fine di una sua poesia: “In fondo, sono pochissime le cose che davvero importano nella vita: poter amare qualcuno, essere amati e non morire dopo i nostri figli”.
E noi? E il nostro amore? È così?
Data recensione: 04/03/2008
Testata Giornalistica: Il Domenicale
Autore: ––