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Giacomo Aloigi è l’autore che, con due libri, ha smosso il mondo dell’editoria toscana, arrivando a cifre non sperate. Riccardo Parigi e Massimo Sozzi costituiscono la “premiata ditta” che ha varcato i confini regionali

Giacomo Aloigi è l’autore che, con due libri, ha smosso il mondo dell’editoria toscana, arrivando a cifre non sperate. Riccardo Parigi e Massimo Sozzi costituiscono la “premiata ditta” che ha varcato i confini regionali. Li incontro nel mio viaggio lungo la Toscana del giallo e del noir. M’incaponisco nelle solite domande. In sostanza, batto lo stesso chiodo. Perché voglio capire e far capire.La prima domanda: quanto c’è di Toscana in quel che scrivete? Aloigi: “Tanto e forse poco. Tanto nel senso che entrambi i miei romanzi sono ambientati in Toscana (“Buio” in un paese del Casentino realmente esistente ma che non viene mai citato per nome, “Sabbia in bocca” a Firenze) e poco in quanto comunque potrebbero anche svolgersi altrove. Quindi la cornice toscana o fiorentina non è essenziale né per l’atmosfera né per lo svolgimento della storia. “Buio” potrebbe tranquillamente avere come sfondo un paese della bassa padana o dell’Agro Pontino, mentre “Sabbia in bocca” avrebbe le medesime caratteristiche se collocato nella cornice di un’altra grande città come Bologna o Roma. Però sono certo che se li avessi ambientati altrove li avrei “vissuti” meno, sarebbero forse usciti fuori meno credibili. Come, devo dire, non sono credibili i romanzi del sempre citato Faletti. Sono, al di là di tutto, distanti sia dall’autore che per il lettore. Ti anticipo che la storia a cui sto lavorando per il prossimo romanzo non potrà essere che squisitamente fiorentina”.Parigi & Sozzi: “Moltissimo. Siamo da sempre entrambi appassionati di storia e abbiamo spesso sfruttato, nei nostri racconti e romanzi, specifici momenti storici della nostra regione, momenti ricchi di spunti e forti suggestioni: dal Medioevo dei comuni al Seicento dei Medici, dal Settecento dei Lorena alla Firenze ‘capitale’ del regno”.Giova avere una localizzazione precisa? Aloigi: “Certamente. Secondo me per una buona gestione della trama è essenziale essere perfettamente a conoscenza del terreno su cui far muovere i personaggi. Intendiamoci, una localizzazione può benissimo essere anche inventata di sana pianta. L’importante è, nel caso, crearsi una vera e propria topografia del luogo immaginato. E tutta la scrittura ne sarà agevolata. Se poi, come quasi sempre accade, il luogo è reale, quest’ultimo è in grado di influenzare in qualche modo la composizione del testo. Quasi per osmosi”.Parigi & Sozzi: “Indubbiamente può essere d’aiuto per la creazione dell’intreccio narrativo, a patto però che non si cada – e nel caso di Firenze è un pericolo concreto – in una ricostruzione stereotipata, da cartolina illustrata”.Fino a poco tempo fa, la Toscana appariva un palcoscenico debole per storie gialle e noir. Oggi sembra non essere più così, anche se è lontana dalla Lombardia e dalla Sicilia. Da cosa deriva? Aloigi: “È una bella domanda. Forse il passato ‘debole’ può essere imputato al carattere proprio dei toscani, sempre così fortemente concreto, dissacratorio a trecentosessanta gradi, radicato nelle cose, in quello che si può toccare e vedere. Poco incline insomma a farsi suggestionare, a farsi coinvolgere in storie magari anche un po’ fantastiche. Poi ci sono stati gli omicidi del mostro di Firenze. E sulla nostra regione (in realtà sulla provincia, ma la ricaduta è stata, appunto, regionale) si sono addensate le plumbee nubi del giallo, quello però drammaticamente vero. E improvvisamente la Toscana (che, comunque, per luoghi e per storia, assai si presta... ) è diventata luogo fertile e privilegiato per ambientarvi tenebrose storie noir. Se ne è approfittato anche il buon Harris per mandarci in vacanza il professor Lecter”.Parigi & Sozzi: “La cronaca nera, le “dolci colline di sangue” (per rifarci a un titolo di Mario Spezi) possono avere offerto dei suggerimenti, delle piste da seguire. Più in generale crediamo che alcuni scrittori, in questi anni, abbiano lavorato efficacemente per mettere in luce le contraddizioni della realtà toscana, contraddizioni spesso legate alla crisi economica, alle tensioni legate all’immigrazione, alla decadenza in campo culturale, oltre che allo sviluppo di ramificate attività malavitose”.Gli autori stranieri quanto hanno contribuito, e contribuiscono, a far pensare – in giallo e nero – la Toscana e le sue città (Firenze, in modo particolare)? Aloigi: “Non so. È difficile avere una prospettiva corretta vivendo qui. Credo che, come ho detto prima, alcuni autori stranieri (Harris, Deaver... ) abbiano scelto la nostra regione e Firenze perché ovviamente hanno un forte appeal soprattutto per il pubblico degli Stati Uniti. E questo senza dubbio ha fatto sì che la Toscana sia diventata, nella percezione di molti, una location “sensibile” alle storie gialle e nere. Viceversa non penso che il loro modo di scrivere e di concepire i romanzi si riverberi più di tanto sugli scrittori toscani. In questo mi sento di affermare che siamo piuttosto rispettosi di noi stessi e del nostro background culturale”.Parigi & Sozzi: “Purtroppo, almeno in base a quello che abbiamo letto, sono proprio gli autori stranieri che continuano a propinare una visione falsa e stereotipata di Firenze. Pensiamo, ad esempio, all’incredibile “Hannibal” di T. Harris e al suo massiccio repertorio di luoghi comuni (compreso un commissario di polizia discendente della famiglia dei Pazzi: nientemeno!)”.Domanda d’obbligo: ritenete che con questo genere di letteratura si possa incidere nella realtà, raccontarla con tutti i suoi guai, più e meglio che con un saggio? Aloigi: “La nostra è per definizione una letteratura di genere. E il genere ti impone, lo si voglia o meno, certi canoni. Sottrarvisi non è semplice e, in un certo qual modo, è pericoloso per la tenuta del libro. Credo che si debba avere quella giusta dose di pudore e di modestia per ammettere che non sono i nostri i libri che hanno la funzione di raccontare o addirittura spiegare la realtà. Perché comunque chi prende in mano un giallo vuole trovarvi tra le pagine certe precise emozioni, addirittura certi cliché. Questo ovviamente non significa che un giallista non sia in grado di mutar pelle. Prendi Ellroy. “American Tabloid” o “Sei pezzi da mille0148 sono dei racconti che coniugano fiction e verità, immaginazione e storia. Splendidi. Ma quando invece scrive “Black Dalia” veste in pieno i panni del giallista, non del saggista. Si piega e rende omaggio al genere, pur con la sua straordinaria capacità di scrittura. Per venire più vicini a noi, Mario Spezi sia con “Il passo dell’orco” che con il controverso “Dolci colline di sangue” non “racconta la realtà” ma “fa della realtà racconto”, che è cosa profondamente diversa. Insomma, che voglio dire? Che il giallo è giallo. Quello puro, basic, autentico. Non ha il compito di spiegarci come va il mondo, cosa vi succede. Deve intrigare, incuriosire, spaventare, sorprendere, inquietare. Se no si fa altro. Altro genere intendo. E poi, sarà banale dirlo, ma è orrendamente vero che la realtà ti scavalca sempre. Quale scrittore avrebbe concepito una vicenda come quella di Erba? Quale editore l’avrebbe accettata?”Parigi & Sozzi: “Risposta d’obbligo: dipende dal romanzo, dipende dal saggio! La “Breve storia di Firenze” di Franco Cardini è coinvolgente al pari dei testi che lo storico fiorentino ha scritto insieme a Leonardo Gori”.Pensate che esista veramente una via toscana al giallo? Aloigi: “Sinceramente, no. Penso che ci siano molti bravi scrittori toscani di giallo però leggendo i miei colleghi non mi pare di individuare uno stile, un file rouge, un terreno comune che li renda parte di una “Scuola”. Anche perché se così fosse vorrebbe dire che c’è stato un big bang, un capostipite, un Gran Maestro che francamente non individuo. E a dirla tutta mi pare solo un bene. Vichi è diverso da Santini che è diverso da Spezi che è diverso da me e così via. Evviva. C’è da scegliere, c’è varietà, originalità”.Parigi & Sozzi: “Pensiamo che una delle peculiarità dei giallisti toscani sia la loro disponibilità ad aderire a ‘progetti’ organizzati da piccoli ma intraprendenti editori. Ci riferiamo in particolare alle antologie: dopo la prima, pionieristica e molto ben riuscita, curata dall’infaticabile Graziano Braschi (“Toscana, delitti e misteri”, ed. Zella, 2000), ne sono state pubblicate moltissime. Secondo alcuni, il ‘fenomeno’ dovrebbe essere tenuto un po’ più sotto controllo dalle case editrici, evitando il pericolo dell’inflazione o della saturazione. Sta di fatto che quasi tutti i giallisti toscani hanno aderito ad alcune di queste iniziative, e ciascuno ha portato il suo contributo, le sue predilezioni, la sua voglia di sperimentare, percorrendo una “via” specifica (magari un viottolo, un sentiero poco battuto, un’autostrada)”.
Data recensione: 27/02/2008
Testata Giornalistica: Il Corriere di Firenze
Autore: Riccardo Cardellicchio