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Non c’è turista o viaggiatore, o residente, insomma persona che si trovi a passare di proposito o per caso in Piazza della Repubblica a Firenze, che non butti l’occhio distratto al grande arco che perfora la severa e grigia facciata in

Non c’è turista o viaggiatore, o residente, insomma persona che si trovi a passare di proposito o per caso in Piazza della Repubblica a Firenze, che non butti l’occhio distratto al grande arco che perfora la severa e grigia facciata in stile neo-rinascimentale, e non veda, magari solo con la coda dell’occhio, la scritta che con trionfale compiacimento attesta che in quel luogo sorgeva l’antico centro della città «da secolare squallore a vita nuova restituito», ecc. ecc. Viene da crederci, perché dubitarne? E chissà quanti commenti elogiativi dalle migliaia di sprovveduti turisti, cui le guide avranno raccontato appunto questa bella versione. Ma non è andata esattamente così, già lo si sapeva, e ora un ricco volume edito da Polistampa ci propone una documentazione “agghiacciante” della distruzione sistematica e implacabile decisa e rapidamente compiuta in un breve volgere di anni, grosso modo dal 1885 (ma le prime avvisaglie erano già dal 1881) e per un decennio. Il volume deve la sua eccezionalità al fatto di pubblicare oltre 300 fotografie (388 per la precisione), la maggior parte delle quali si credevano perdute e sono invece state ritrovate negli archivi del Gabinetto Fotografico della Soprintendenza fiorentina al Polo Museale. Maria Sframeli, la studiosa che aveva già pubblicato un volume sull’antico centro storico demolito, ha riordinato accuratamente tutto questo materiale (in fondo al volume c’è la tabella delle concordanze tra le varie lastre, le date delle foto, la numerazione a suo tempo assegnata e altri dati), ha puntigliosamente ritrovato i punti esatti di ogni foto, disponendo il materiale in successione in modo da realizzare un ideale percorso lungo l’area interessata. L’importanza di questo ritrovamento è ovviamente enorme per ciò che documenta, ma è altrettanto importante perché si tratta forse «della prima volta in cui la fotografia fu usata a scopo documentario». E difatti la studiosa si sofferma a ricostruire tutte le vicissitudini che portarono la Commissione Storica Artistica Comunale, messa tardivamente dal Comune a seguire e monitorare i lavori sulla scorta delle forti critiche interne e internazionali, alla scelta, pionieristica, di utilizzare la fotografia per svolgere il proprio compito, reso difficile dalla velocità quasi sospetta con cui i lavori avanzavano, tra demolizioni e ricostruzioni. La documentazione fotografica si poté fare fino a che durarono i fondi stanziati, e cioè dall’agosto 1892 al 95, come riporta il titolo stesso del volume.
Una «Pianta particolareggiata del centro di Firenze», riproduzione dell’originale degli Archivi dei Musei Comunali, mostra dettagliatamente l’area interessata al risanamento, e tutto ciò che è stato demolito: «la perdita in assoluto più grave subita in età moderna dal patrimonio culturale italiano» (A.Paolucci). E infatti a scorrere le foto si rimane increduli che si siano potuti abbattere portali in pietra del Duecento, capitelli, interni con ancora le decorazioni medievali, cortili e chiostri colonnari, cicli di affreschi... (ciò che fu recuperato prese la via del mercato antiquario privato, il resto esposto nella sezione apposita del Museo di San Marco). Colpisce, rendendo particolarmente grave il tono del volume, l’aspetto di queste foto, deserte di vita, che ci restituiscono l’immagine di una città bombardata, o di una Pompei del XIX secolo. Fotografie che sono «troppo crudamente espressive per agevolare la giustificazione e tantomeno indurre al perdono», come scrive Cristina Acidini nella presentazione al volume, auspicando che servanoa lmeno da ammonimento e a mettere in guardia da un rischio che tuttora corriamo, quando troppo alla leggera si parla e straparla di sanare e valorizzare...
L’occhio imparziale della fotografia ci mostra anche, impietosamente, il decadimento cui erano ridotti tanti luoghi, e l’essersi fomato nel tempo un tessuto urbano fatto di vicoli, strette strade in cui non penetrava mai il sole, affastellamento di povere case e baracche; si può dunque capire la necessità di intervenire per adeguare il centro della città alle mutate esigenze della società moderna e allo standard del tempo. Ma non si può giustificare la tabula rasa che ne è stata fatta, e che ha spazzato via manufatti pregiati, ma anche angoli, luoghi, e soprattutto ha alterato gli equilibri del quadrilatero medievale della città, che era poi quello più carico di memorie storiche, la città di Cimabue, Giotto, Dante...
Si ha la sensazione che alla città reale, ancora largamente medievale, si sia voluto sovrapporre un’immagine costruita sull’idea che la cultura del tempo si era fatta del passato di Firenze, un’immagine signorile e un po’ fredda, ma simile a quella delle ricche, signorili e rinnovate capitali europee. È mancato il rispetto per la storia, soprattutto la percezione del carattere più vero del luogo, che era quello di un unico organismo con membra diverse e di epoche diverse strettamente abbracciate, dalla torre medievale alla pulita e ordinata facciata quattrocentesca, dal tabernacolo alle decorazioni murarie. Quella attenzione che invece, un po’ fuori città, ha avuto magistralmente il Poggi disegnando il superbo percorso dei viali che chiudono il lato sud di Firenze, dove ha saputo interpretare la forma e si direbbe l’anima stessa delle colline fiorentine. Se pensiamo alla deriva commerciale, bassamente commerciale, dell’area, al caos di uomini e cose che fa affogare il quadrilatero storico, al quasi anonimato di negozi di lusso identici in tutto il mondo, ci si chiede – ahimé col senno di poi – se ne valeva davvero la pena.
Data recensione: 01/10/2007
Testata Giornalistica: Erba d’Arno
Autore: Donata Bertoldi