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A cominciare dal Sei-Settecento il rapporto tra giornalismo e letteratura si va gradatamente intensificando dato che molti scrittori contemporanei dedicano un periodo della loro vita a fare i giornalisti. Si dedicano

A cominciare dal Sei-Settecento il rapporto tra giornalismo e letteratura si va gradatamente intensificando dato che molti scrittori contemporanei dedicano un periodo della loro vita a fare i giornalisti. Si dedicano al giornalismo spesso con passione, partecipando a polemiche, controversie, dibattiti, su una vasta gamma di argomenti. Varie sono le ragioni per cui lo scrittore si mette a fare il giornalista. Forse quelle principali sono due: farsi conoscere e presentarsi agli editori con un nome già noto al pubblico; e guadagnare il suo pane quotidiano.A volte il giornalista di mestiere si scopre scrittore come Eugenio Scalfari, Gianni Riotta, Oliviero Beha, e allora alcuni si mettono a fare lo scrittore quasi a tempo pieno come Oriana Fallaci o Susanna Tamaro, altri coltivano e portano avanti i due mestiere come Dino Buzzati, Manlio Cancogni, Goffredo Parise. Per molti di essi il giornalismo e la letteratura sono come due mani dello stesso corpo, l’una aiuta l’altra e viceversa; lo scrittore e il giornalista sono due facce della stessa medaglia. A questa categoria appartiene anche Luca Nannipieri.Nato a Pisa nel 1979, autore di saggi letterari e giornalista professionista, Nannipieri con il romanzo d’esordio «Chiamami ancora amore» si mette in linea con la poetica postmoderna. Una poetica che ha significative radici nell’esperienza degli scrittori americani del “new journalism”, molti assimilata da molti scrittori nostrani, dalle “journalistic novels” di Oriana Fallaci, come mostra «Niente e così sia» in cui la Fallaci si raffigura personaggio reporter delle atrocità della guerra del Vietnam, ai racconti di Sandro Veronesi, come evidenzia «Superalbo» in cui le narrazioni sfruttano il “pastiche” della “non fiction prose” anche del Truman Capote di «In Cold Blood». La “non fiction fiction” delle ultime generazioni di scrittori postmoderni, incluso Stephen Glass de «The Fabulist”, viene arricchita da svariate forme di sperimentalismo, al punto che dà vita al romanzo “docufiction”, di cui è paradigmatico il bestseller di Roberto Saviano, «Gomorra».«Chiamami ancora amore» è tutto questo e altro, pur per l’abile uso della mescolanza dei generi e sottogeneri, epistolari, cronachistici, saggistici, diaristici, autobiografici, ecc.; per l’efficace citazionismo di canzoni di importanti cantastorie, di spot pubblicitari, di scrittori e poeti non solo contemporanei (Jorges Luis Borges, Mario Luzi, Jeanne Hersch, ecc.), di testi storici, giornalistici, filosofici, ecc., quasi tutti in funzione di approfondire l’argomento che si è trattato, sebbene a volte diano l’apparente impressione di creare divagazioni e digressioni; per il sobrio rifacimento di miti del mondo antico e moderno, che si intrecciano a quelli personali e familiari, come quello di Jaufré Rudel.L’ibridazione, l’intreccio, e l’esposizione delle cose segue la linea del perfetto equilibrio. Ma la prosa che in essenza è asciutta, dimessa, forbita, che fa uso di una sintassi semplice e di un periodo breve ma che talvolta approda alle dimensioni della lunghezza, che sa saturarsi di sospensioni e di momenti inquietanti, varia i toni anche del parlato, della confessione, della iterazione, e si colorisce di squarci lirici quando l’autore si abbandona alla rievocazione del mondo dell’infanzia, al ricordo dei parenti di origine contadina, soprattutto del nonno e della nonna, o quando si descrive il paesaggio idillico della sua Toscana o quello devastato dalle azioni belliche.«Chiamami ancora amore», come altri romanzi postmoderni del filone “docufiction” (ad esempio «L’abusivo» di Antonio Franchini), si avvale del topos del viaggio inteso come esplorazione e conoscenza, che serve a intrecciare una matassa di elementi cronotopici, che porta il giornalista sul luogo della notizia e a cercare la verità dei fatti, a denunciare miserie, ingiustizie, orrori. Mentre il viaggio va avanti subentra il viaggio interiore che va a ritroso, ripescando a rivangando cose accadute nel recente passato, onde lo stile si fa riflessivo e monologico, si infittisce di domande che cercano anche risposte di natura metafisica.Oltre alle micro-storie, il viaggio sviluppa parallelamente due macro-storie, quella che riguarda la tragica realtà della guerra in Bosnia appena finita, e quella che concerne l’infelice vicenda d’amore di una giovane coppia, dato che la convivente ha abbandonato il compagno, una sorta di novello “Candido” che si incontra con una realtà disumana e orrenda ma che cerca di superarla con l’illusione di riunirsi alla donna della sua vita, anche se ha ferma consapevolezza che nei nostri tempi esistono solo “amori senza amore”.Sono storie perfettamente legate da una rete di motivi e di idee, e dalla figura di un narratore e protagonista che funziona anche da cornice. Egli è un giovane giornalista che s’identifica con l’autore, un Nannipieri che, come tanti scrittori postmoderni, in misura narcisistica ama essere al centro dell’attenzione e farsi l’autoritratto, scavare dentro e fuori se stesso, documentare fatti della coscienza individuale e collettiva, testimoniare la profonda decadenza della nostra società postmoderna, anche con piglio morale.Per Nannipieri essa ha smarrito i grandi valori evangelici, pratica il culto dell’apparenza al punto che tutti recitano e fingono quello che non sono, è materialistica, tanto che il costume del “compra, usa e getta” è entrato nel nostro sangue. Si tratta di una società incurante anche del sentimento più alto e più nobile che l’uomo possa sperimentare e cioè l’amore.Quando non si sente più l’amore per il fratello uomo, si arriva alla guerra che semina genocidi, inferni, distruzioni, stroncando la vita di innocenti bambini e di donne che vengono stuprate e massacrate nei modi più efferati davanti ai familiari, e rendendo il paesaggio finanche una terra desolata (per dirla con T.S. Eliot), di cui è emblematica quella svoltasi in Bosnia, ritratta con realismo serpeggiato da accenti di forte drammaticità (tanto da far richiamare il dramma di Sandro Veronesi, «No Man’s Land – Terra di nessuno», che tratta anche il tema della guerra serbo-bosniaca con al centro un personaggio giornalista). Quando non si sente più l’amore come responsabilità e rispetto e neanche per la persona con cui si era scelto di trascorrere insieme la vita, si arriva alla morte della famiglia e allo sfacelo di altri istituti sociali, e armato di dati storici, di statistiche, di documentazione di vario genere, Nannipieri illustra le crisi incancrenite dei nostri giorni, dai nuovi matrimoni che non durano neanche pochi anni ai fidanzamenti che non durano neanche alcune settimane, dalle separazioni ai divorzi che per egoismi dei genitori lasciano ferite insanabili alla prole. L’autore vede una società frivola, precaria, senza valori, e nonostante il nero pessimismo, emerge un filo di speranza che le cose possano cambiare in meglio.
Data recensione: 24/02/2008
Testata Giornalistica: America Oggi
Autore: Franco Zangrilli