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Giovanni Papini

Giovanni Papini

Nacque in una famiglia artigiana da Luigi Papini, ex garibaldino e repubblicano anticlericale, ed Erminia Cardini, che lo fece battezzare all’insaputa del padre. Ebbe un’infanzia e un’adolescenza molto povere e solitarie, passate a leggere i libri della biblioteca del nonno prima e di quella pubblica poi. Si diplomò maestro nel 1899, insegnando per qualche anno, poi diventò bibliotecario. Attirato dalla letteratura, collaborò con le riviste fiorentine «La Rivista», «Sapientia» e «Il Giglio». Nel 1903, fondò assieme a Giuseppe Prezzolini, Giovanni Vailati e Mario Calderoni la rivista «Leonardo», poi collaborò come redattore capo ne «Il Regno» del nazionalista Enrico Corradini.
Iniziò a pubblicare alcuni racconti e saggi, fra cui Il crepuscolo dei filosofi (1905), nel quale criticò i sistemi filosofici di Immanuel Kant, Friedrich Hegel, Arthur Schopenhauer, Auguste Comte, Herbert Spencer e Friedrich Nietzsche, dichiarando infine la morte della filosofia stessa. Nello stesso anno, pubblicò Il tragico quotidiano che sancì, assieme a Il pilota cieco (1907), la nascita delle cosiddette “novelle metafisiche”, un genere letterario che innovò profondamente l’ambito novellistico. Il distacco progressivo da Prezzolini, più incline a seguire Benedetto Croce, e i disaccordi con gli altri collaboratori segnarono la chiusura del «Leonardo» nel 1907. Sempre in quell’anno, Papini si sposò con Giacinta Giovagnoli. Nel 1911 fondò con Giovanni Amendola la rivista «Anima», di tendenza teosofica, che ebbe solo un anno di vita, e nel 1912 pubblicò Le memorie d’Iddio, l’apice della sua protesta anticristiana e del suo nichilismo, che generò molto scalpore e costò all’autore un processo per oltraggio alla religione. Papini la ricusò poi in tarda età, tanto da incaricare la figlia Viola di ricercare le copie ancora esistenti e darle alle fiamme. Il 1º gennaio 1913 creò con Ardengo Soffici la rivista «Lacerba», che uscì a Firenze. Appoggiò per un breve periodo di tempo il futurismo e si batté per l’intervento italiano nella Prima guerra mondiale (celebre il suo articolo Amiamo la guerra, apparso su Lacerba).
Dopo anni di profondi travagli spirituali, nel 1921 annunciò la sua conversione religiosa pubblicando la Storia di Cristo, che si rivelò essere un successo editoriale non solo in Italia: basato sulla testimonianza dei Vangeli canonici e anche di quelli apocrifi, narra della vita di Gesù per invocarne la grazia verso l’umanità corrotta.Aderì al fascismo ma nel 1935 rifiutò l’offerta della cattedra di letteratura italiana all’Università di Bologna. Nel 1937, pubblicò il primo (poi rimasto unico) volume della Storia della letteratura italiana con la dedica “Al Duce, amico della poesia e dei poeti”. Poco dopo ricevette la nomina ad accademico d’Italia e la direzione dell’Istituto di studi sul Rinascimento e della rivista «La Rinascita». Nel 1943, si fece terziario francescano nel convento della Verna.
Dopo la Seconda guerra mondiale, pur emarginato di fatto dal mondo della cultura ed appoggiato dai soli cattolici tradizionalisti, pubblicò libri che fecero ancora scalpore come le Lettere agli uomini di Celestino VI (1946), la Vita di Michelangelo (1949), Il libro nero (1951) e soprattutto Il diavolo (1953). Collaborò anche al «Corriere della Sera», pubblicandovi articoli quindicinali pubblicati postumi nel 1971 col titolo Schegge.
Debilitato dalla malattia e pressoché cieco negli ultimi anni di vita, lavorò con l’aiuto della nipote al Giudizio universale, un progetto giovanile pubblicato postumo nel 1957. Vennero pubblicati dopo la sua morte anche La felicità dell’infelice (1956), La seconda nascita (1958, in cui Papini ripercorre le sue vicissitudini fino alla conversione), il Diario (1962) e Rapporto sugli uomini (1977).
Scrittore controverso, il primo che cercò di sottrarlo all’oblio fu Jorge Luis Borges, ritenendo che Papini fosse stato “immeritatamente dimenticato”.

Nacque in una famiglia artigiana da Luigi Papini, ex garibaldino e repubblicano anticlericale, ed Erminia Cardini, che lo fece battezzare all’insaputa del padre. Ebbe un’infanzia e un’adolescenza molto povere e solitarie, passate a leggere i libri della biblioteca del nonno prima e di quella pubblica poi. Si diplomò maestro nel 1899, insegnando per qualche anno, poi diventò bibliotecario. Attirato dalla letteratura, collaborò con le riviste fiorentine «La Rivista», «Sapientia» e «Il Giglio». Nel 1903, fondò assieme a Giuseppe Prezzolini, Giovanni Vailati e Mario Calderoni la rivista «Leonardo», poi collaborò come redattore capo ne «Il Regno» del nazionalista Enrico Corradini.
Iniziò a pubblicare alcuni racconti e saggi, fra cui Il crepuscolo dei filosofi (1905), nel quale criticò i sistemi filosofici di Immanuel Kant, Friedrich Hegel, Arthur Schopenhauer, Auguste Comte, Herbert Spencer e Friedrich Nietzsche, dichiarando infine la morte della filosofia stessa. Nello stesso anno, pubblicò Il tragico quotidiano che sancì, assieme a Il pilota cieco (1907), la nascita delle cosiddette “novelle metafisiche”, un genere letterario che innovò profondamente l’ambito novellistico. Il distacco progressivo da Prezzolini, più incline a seguire Benedetto Croce, e i disaccordi con gli altri collaboratori segnarono la chiusura del «Leonardo» nel 1907. Sempre in quell’anno, Papini si sposò con Giacinta Giovagnoli. Nel 1911 fondò con Giovanni Amendola la rivista «Anima», di tendenza teosofica, che ebbe solo un anno di vita, e nel 1912 pubblicò Le memorie d’Iddio, l’apice della sua protesta anticristiana e del suo nichilismo, che generò molto scalpore e costò all’autore un processo per oltraggio alla religione. Papini la ricusò poi in tarda età, tanto da incaricare la figlia Viola di ricercare le copie ancora esistenti e darle alle fiamme. Il 1º gennaio 1913 creò con Ardengo Soffici la rivista «Lacerba», che uscì a Firenze. Appoggiò per un breve periodo di tempo il futurismo e si batté per l’intervento italiano nella Prima guerra mondiale (celebre il suo articolo Amiamo la guerra, apparso su Lacerba).
Dopo anni di profondi travagli spirituali, nel 1921 annunciò la sua conversione religiosa pubblicando la Storia di Cristo, che si rivelò essere un successo editoriale non solo in Italia: basato sulla testimonianza dei Vangeli canonici e anche di quelli apocrifi, narra della vita di Gesù per invocarne la grazia verso l’umanità corrotta.Aderì al fascismo ma nel 1935 rifiutò l’offerta della cattedra di letteratura italiana all’Università di Bologna. Nel 1937, pubblicò il primo (poi rimasto unico) volume della Storia della letteratura italiana con la dedica “Al Duce, amico della poesia e dei poeti”. Poco dopo ricevette la nomina ad accademico d’Italia e la direzione dell’Istituto di studi sul Rinascimento e della rivista «La Rinascita». Nel 1943, si fece terziario francescano nel convento della Verna.
Dopo la Seconda guerra mondiale, pur emarginato di fatto dal mondo della cultura ed appoggiato dai soli cattolici tradizionalisti, pubblicò libri che fecero ancora scalpore come le Lettere agli uomini di Celestino VI (1946), la Vita di Michelangelo (1949), Il libro nero (1951) e soprattutto Il diavolo (1953). Collaborò anche al «Corriere della Sera», pubblicandovi articoli quindicinali pubblicati postumi nel 1971 col titolo Schegge.
Debilitato dalla malattia e pressoché cieco negli ultimi anni di vita, lavorò con l’aiuto della nipote al Giudizio universale, un progetto giovanile pubblicato postumo nel 1957. Vennero pubblicati dopo la sua morte anche La felicità dell’infelice (1956), La seconda nascita (1958, in cui Papini ripercorre le sue vicissitudini fino alla conversione), il Diario (1962) e Rapporto sugli uomini (1977).
Scrittore controverso, il primo che cercò di sottrarlo all’oblio fu Jorge Luis Borges, ritenendo che Papini fosse stato “immeritatamente dimenticato”.

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