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Mario Puccini

Mario Puccini

Mario Puccini nasce a Livorno il 28 giugno 1869 da Domenico e da Filomena Andrei, quinto di sei fratelli.
Inizia a disegnare e dipingere sin dall’adolescenza, contrastato dal padre. Dopo gli studi presso una Scuola Tecnica del Comune di Livorno, il giovane Mario ottiene l’autorizzazione paterna a frequentare l’Accademia di Belle Arti di Firenze a cui si iscrive nel 1884, sembra su consiglio di Giovanni Fattori, frequentando la scuola del maestro livornese assieme a Nomellini, Pellizza da Volpedo, Micheli ed altri. Nel 1887 è iscritto alla Scuola di Figura presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze; nello stesso anno partecipa per la prima volta ad una pubblica Esposizione presentando uno Studio di testa. Nel 1890, dopo aver vinto un concorso bandito dal Ministero della Pubblica Istruzione per la creazione di un metodo di proiezioni ortogonali, consegue il Diploma dell’Accademia e quindi l’abilitazione all’insegnamento del disegno. Nell’autunno del 1893, forse per i troppi impegni e per cause che, secondo quanto riportato dai biografi sconfinano nell’aneddoto, Puccini subisce un tracollo psicologico che ne causa il ricovero all’ospedale Civile di Livorno, quindi il 4 febbraio 1894, all’Ospedale Psichiatrico San Niccolò a Siena, dove rimane internato sino al 5 maggio 1898. Degli anni che vanno dall’uscita dal manicomio al 1906, si hanno scarse notizie; è ricordato mentre aiuta il padre nella gestione della sua trattoria, pur non tralasciando l’applicazione alla pittura. Nel 1901 partecipa alla III Esposizione d’Arte di Livorno.
Alla morte del padre (1906), essendo la madre già deceduta nel 1901, Puccini opera una scelta definitiva a favore della pittura; in quell’anno infatti egli lascia la famiglia per andarsene a vivere da solo prendendo in affitto un bugigattolo in Borgo Cappuccini, dove si guadagnerà da vivere costruendo aquiloni e marionette per i ragazzi, cifre e ornati per le ricamatrici, insegne per i negozi.
Dopo il 1909 inizia a frequentare il Caffè Bardi, ritrovo degli artisti livornesi per le cui colonne appronta, all’incirca nel 1911, almeno due dipinti e altrettanti carboncini di grandi dimensioni, su committenza di Ugo Bardi, proprietario del caffè. Da questi anni in poi ha inizio la fortuna dell’artista; le sue opere sono apprezzate anche a Firenze tramite collezionisti e mercanti.
Migliorate le sue condizioni economiche, Puccini lascia la bottega in cui abitava per andare a vivere nel fondo che era stato di un ciabattino, al quartiere “Gigante” vicino alla Fortezza Nuova; quindi si trasferisce in Piazza del Cisternone, in un alloggio interno più accogliente, che fungeva da portineria. Si allontana raramente da Livorno di cui percorre coste e campagna a trarre spunti per la sua pittura sempre più accesa nella rappresentazione delle tipiche tematiche di barconi all’ormeggio, scorci di paesaggio, angoli di paese ma soprattutto dell’amata Torre Medicea, ripresa da ogni angolazione, architettura solitaria e maestosa che incanta e suggestiona l’animo del pittore.
Nel 1912 partecipa all’Esposizione di Belle Arti di Livorno, quindi si reca per alcuni mesi a Digne, ospite del fratello, dove la sua tavolozza, per quelle poche opere che ci sono rimaste, risulta connotata da più chiare, meno accese tonalità.
Nel 1913 e 1914, espone di nuovo a Livorno, Firenze e Roma; nel 1915 è presente con il dipinto Scaricatori, alla “Secessione Romana”, nella Sala Internazionale. Durante gli ultimi anni l’artista si reca a dipingere in Maremma, intensificando il lavoro in modo quasi febbrile, all’aperto e nelle più variabili condizioni atmosferiche, peggiorando così il suo già precario stato di salute che si aggrava poi rapidamente a causa di un’infezione polmonare; ricoverato all’Ospedale Santa Maria Nuova in Firenze, il 17 giugno, muore il giorno seguente, 18 giugno 1920. La salma viene trasferita a Livorno al Cimitero della Misericordia da dove, nei primi mesi del 1988, per l’impegno del Gruppo Labronico, del Presidente Alberto Zampieri e del Segretario Dario Bonetti, viene tumulata nel Famedio di Montenero.

Mario Puccini nasce a Livorno il 28 giugno 1869 da Domenico e da Filomena Andrei, quinto di sei fratelli.
Inizia a disegnare e dipingere sin dall’adolescenza, contrastato dal padre. Dopo gli studi presso una Scuola Tecnica del Comune di Livorno, il giovane Mario ottiene l’autorizzazione paterna a frequentare l’Accademia di Belle Arti di Firenze a cui si iscrive nel 1884, sembra su consiglio di Giovanni Fattori, frequentando la scuola del maestro livornese assieme a Nomellini, Pellizza da Volpedo, Micheli ed altri. Nel 1887 è iscritto alla Scuola di Figura presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze; nello stesso anno partecipa per la prima volta ad una pubblica Esposizione presentando uno Studio di testa. Nel 1890, dopo aver vinto un concorso bandito dal Ministero della Pubblica Istruzione per la creazione di un metodo di proiezioni ortogonali, consegue il Diploma dell’Accademia e quindi l’abilitazione all’insegnamento del disegno. Nell’autunno del 1893, forse per i troppi impegni e per cause che, secondo quanto riportato dai biografi sconfinano nell’aneddoto, Puccini subisce un tracollo psicologico che ne causa il ricovero all’ospedale Civile di Livorno, quindi il 4 febbraio 1894, all’Ospedale Psichiatrico San Niccolò a Siena, dove rimane internato sino al 5 maggio 1898. Degli anni che vanno dall’uscita dal manicomio al 1906, si hanno scarse notizie; è ricordato mentre aiuta il padre nella gestione della sua trattoria, pur non tralasciando l’applicazione alla pittura. Nel 1901 partecipa alla III Esposizione d’Arte di Livorno.
Alla morte del padre (1906), essendo la madre già deceduta nel 1901, Puccini opera una scelta definitiva a favore della pittura; in quell’anno infatti egli lascia la famiglia per andarsene a vivere da solo prendendo in affitto un bugigattolo in Borgo Cappuccini, dove si guadagnerà da vivere costruendo aquiloni e marionette per i ragazzi, cifre e ornati per le ricamatrici, insegne per i negozi.
Dopo il 1909 inizia a frequentare il Caffè Bardi, ritrovo degli artisti livornesi per le cui colonne appronta, all’incirca nel 1911, almeno due dipinti e altrettanti carboncini di grandi dimensioni, su committenza di Ugo Bardi, proprietario del caffè. Da questi anni in poi ha inizio la fortuna dell’artista; le sue opere sono apprezzate anche a Firenze tramite collezionisti e mercanti.
Migliorate le sue condizioni economiche, Puccini lascia la bottega in cui abitava per andare a vivere nel fondo che era stato di un ciabattino, al quartiere “Gigante” vicino alla Fortezza Nuova; quindi si trasferisce in Piazza del Cisternone, in un alloggio interno più accogliente, che fungeva da portineria. Si allontana raramente da Livorno di cui percorre coste e campagna a trarre spunti per la sua pittura sempre più accesa nella rappresentazione delle tipiche tematiche di barconi all’ormeggio, scorci di paesaggio, angoli di paese ma soprattutto dell’amata Torre Medicea, ripresa da ogni angolazione, architettura solitaria e maestosa che incanta e suggestiona l’animo del pittore.
Nel 1912 partecipa all’Esposizione di Belle Arti di Livorno, quindi si reca per alcuni mesi a Digne, ospite del fratello, dove la sua tavolozza, per quelle poche opere che ci sono rimaste, risulta connotata da più chiare, meno accese tonalità.
Nel 1913 e 1914, espone di nuovo a Livorno, Firenze e Roma; nel 1915 è presente con il dipinto Scaricatori, alla “Secessione Romana”, nella Sala Internazionale. Durante gli ultimi anni l’artista si reca a dipingere in Maremma, intensificando il lavoro in modo quasi febbrile, all’aperto e nelle più variabili condizioni atmosferiche, peggiorando così il suo già precario stato di salute che si aggrava poi rapidamente a causa di un’infezione polmonare; ricoverato all’Ospedale Santa Maria Nuova in Firenze, il 17 giugno, muore il giorno seguente, 18 giugno 1920. La salma viene trasferita a Livorno al Cimitero della Misericordia da dove, nei primi mesi del 1988, per l’impegno del Gruppo Labronico, del Presidente Alberto Zampieri e del Segretario Dario Bonetti, viene tumulata nel Famedio di Montenero.

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