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Se fosse ancora tra di noi, probabilmente se ne uscirebbe con un bel

Se fosse ancora tra di noi, probabilmente se ne uscirebbe con un bel "troppa grazia, signori!". Le opere di Vincenzo Cabianca (Verona, 1827-Roma, 1902), Cencio per gli amici, uno dei grandi protagonisti della rivoluzione dei macchiaioli, tornano "visibili" in una mostra personale dopo ottanta anni dall’ultima, svoltasi appunto nel 1927. Addirittura la mostra raggiunge due luoghi diversi, prima Orvieto, poi Firenze, con il suo carico di opere, più di ottanta; alcune note, qualcuna inedita, (Vendemmia in Toscana", 1854), moltissime che appunto non è dato vedere da decenni. Veronese, dopo un passaggio a Milano, dove risente delle influenze di Induno, approda in Toscana. Qui conosce e frequenta Banti e Signorini, dai quali è criticato per le "polpettine di colore" induniste, e dai quali si lascia volentieri convincere a condurre audaci sperimentazioni della "macchia" in Liguria e nella campagna toscana di Montemurlo tra il 1859 e il 1862 (tra gli altri, "Le monachine", e "Marmi a Carrara Marina", non più visto da quasi un secolo). Fino a quando, Cabianca non diventa il più audace sperimentare dei macchiaioli, spingendo su questa strada anche i più restii Fattori e Lega. La mostra illustra l’intero percorso formativo di Cabianca, dai quadri di genere, soggetti storici di contenuto feriale interpretati con una particolare sensibilità ai problemi di luce (tra gli altri, lo sconosciuto "Il giovinetto Goldoni..", del 1858), fino all’uso sempre più libero dei contrasti luminosi e della stesura rapida del colore, passando attraverso "l’Abbandonata"(1858), ritenuto uno dei quadri chiave nella storia del movimento macchiaiolo. E poi la ricerca di violenti effetti di chiaroscuro, per giungere a una rigorosa applicazione della "macchia" nei paesaggi e nelle scene di vita rurale e quotidiana ("Spiaggia a Viareggio" e "Un bagno tra gli scogli"). Non mancano le opere del secondo periodo "lungo" di Cabianca, quello trascorso a Roma, dove arriva nel 1870, anno che chiude la vicenda del movimento macchiaiolo aprendo alle ricerche individuali degli artisti che ne fecero parte. A Roma, Cabianca è sempre più indotto a una sorta di interiorizzazione del vero, a un approccio sulla realtà, mediato dal sentimento. Gradualmente la sua ispirazione malinconica si arricchisce di motivi spiritualistici, in consonanza con il clima generale degli ultimi due decenni del secolo. In questo periodo nasce il capolavoro "Nevi romane". Vale la pena sottolineare quanto afferma Francesca Dini nel suo bel saggio introduttivo al catalogo, secondo cui, relativamente ai due tempi della vicenda di Cabianca, il giudizio di merito che la critica ha nel tempo espresso è sempre stato inversamente proporzionale alla loro estensione cronologica, ragion per cui i tre lustri toscani hanno pesato nell’economia della valutazione enormemente di più dei trent’anni romani. A questo macchiaiolo della prima ora, audace e risoluto, insomma, non si è perdonato di aver dato voce, prima a tratti, poi distesamente, alla propria inquietudine spirituale. Forse, anche per questo si è dovuto attendere tutto questo tempo per una mostra a lui dedicata. La mostra si chiude con opere che rappresentano due temi fondamentali della produzione di Cabianca: la poesia dei chiostri e Venezia, opere che evidenziano l’evolversi del percorso dell’artista verso espressioni pittoriche pienamente novecentesche. Per meglio capire il ruolo di Cabianca, alle sue opere la mostra affianca una ventina di opere di altri artisti macchiaioli tra i quali Telemaco Signorini, Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Cristiano Banti, Nino Costa. Cabianca e la civiltà dei Macchiaioli,Orvieto,Palazzo Coelli, fino al 1 luglio 2007.
Data recensione: 11/05/2007
Testata Giornalistica: Il Sole 24 Ore
Autore: Pino Fondati