chiudi

Vincenzo "Cencio" Cabianca fu macchiaiolo risoluto e audace, accanito sperimentatore, anche se con un lieve ritardo rispetto ai colleghi incontrati a Firenze, delle

A Orvieto, a Palazzo Coelli, una grande mostra celebra Vincenzo Cabianca, protagonista di spicco dei Macchiaioli, da cui si differenziò per lo spirito irrequieto e malinconico con cui ritraeva la realtà Orvieto - Vincenzo "Cencio" Cabianca fu macchiaiolo risoluto e audace, accanito sperimentatore, anche se con un lieve ritardo rispetto ai colleghi incontrati a Firenze, delle ricerche pittoriche che fremevano al di fuori delle accademie ufficiali. Ma l’elemento che contraddistinse la sua produzione fu la scelta emotiva di non fermarsi solo all’"immediata evidenza" del dato reale, alla presa diretta della natura come dell’uomo. Questo Macchiaiolo della prima ora, ha voluto dar voce alla propria inquietudine spirituale. Quell’inquietudine che si traduceva in scoramento, come raccontava nelle struggenti lettere alla moglie Adelaide, quell’"l’umor nero", "la malattia di nervi", il male "di spirito" che animava in lui un malessere esistenziale e talvolta la ripugnanza perfino di scrivere alla compagna, madre di Silvio e Nerina, moglie di un grande uomo, sensibile e fragile. E’ stata questa sensibilità intima e "decadente" a farne un protagonista sui generis del gruppo, forse lasciato troppo all’ombra dei più noti artisti del movimento, da Fattori a Lega, a Signorini. Ci son voluto ottant’anni per allestire una mostra che ricostruisca la sua autorevole ricerca pittorica e il suo ruolo primario nella rivoluzione dei macchiaioli toscani. Una bella mostra, dal titolo "Cabianca e la civiltà dei Macchiaioli", che si apre a Orvieto a Palazzo Coelli dal 6 aprile all’1 luglio, e che poi andrà in trasferta a Firenze a Villa Bardini dal 12 luglio al 14 ottobre, frutto della sinergia tra la Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto e l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze. Una vasta e ben articolata retrospettiva, curata da Francesca Dini, di oltre ottanta opere di Cabianca a cui si affiancano, per ciascuna sezione cronologica, i lavori di altri artisti macchiaioli che intrecciarono solidi rapporti con cabianca, come Telemaco Signorini, Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Cristiano Banti, Nino Costa. "Se si esclude il necessario prologo intenso e fecondo degli anni formativi trascorsi tra la bottega di Giovanni Caliari a Verona, sua città natale, e l’Accademia di Belle Arti a Venezia - racconta Francesca Dini - il percorso di Cabianca si svolse sostanzialmente in due atti: un primo che ebbe per teatro Firenze e la Toscana, con determinanti permanenze in Liguria negli anni di gestazione della "macchia"; un secondo che ebbe per epicentro Roma e la sua campagna, e come emanazioni ora Venezia, ora Sestri Levante, ora Ischia, ora il Lago di Garda, ora Castiglioncello. Discriminante tra i due atti è quella data 1870 che, oltre a segnare la fine dell’epoca risorgimentale e l’insediarsi della nuova capitale, notoriamente chiude la vicenda del movimento macchiaiolo, aprendo alle ricerche individuali di quegli artisti. Relativamente ai due tempi della vicenda di Cabianca, il giudizio di merito che la critica ha nel tempo espresso è sempre stato inversamente proporzionale alla loro estensione cronologica, ragion per cui i tre lustri toscani hanno pesato nell’economia della valutazione enormemente di più dei trent’anni romani". Veronese di nascita, 1827, Cabianca sbarcò a Firenze a soli 26 anni dopo una rapida formazione tra Venezia, Milano e Bologna, consumata tra la lezione di Domenico Induco e il febbricitante impegno patriottico che lo vide partecipare ai moti antiaustriaci, per essere poi catturato e carcerato. Nel capoluogo toscano si legò in amicizia con Telemaco Signorini e Odoardo Borrani che lo introdussero all’euforia bohèmien del Caffè Michelangiolo, aperto nel 1848, e divenuto sede privilegiata di animate discussioni artistiche. Nonostante le sue frequentazioni, Cabianca continuò ad applicarsi ai quadri di genere, a soggetti storici di contenuto feriale di derivazione induniana, anche se interpretati però con una particolare sensibilità ai problemi di luce. La sua adesione più convinta e fervida alla poetica macchiaiola si concretizzò solo a partire dal 1858, quando cominciò a formulare un uso sempre più libero dei contrasti luminosi e della stesura rapida del colore. Cominciavano per Cabianca le famigerate e "rivoluzionarie" giornate all’aria aperta, trascorse a studiare gli effetti di luce prodotti da un bucato steso, da un branco di pecore e da un gruppo di cipressi sulla collina, a cercare una presa diretta del paesaggio, magari per un prelievo abbozzato e istintivo della realtà, da completare in studio. Senza dimenticare i "ritratti", completamente reinterpretati attraverso un’indagine emotiva e somatica del personaggio. E la quotidianità della vita, scandita da scene domestiche, intimità delle stanze e il calore dei semplici gesti. La pittura dei Macchiaioli diventava in quel momento epocale il mezzo per cogliere l’immagine del vero in tutta la sua "immediata evidenza", abolendo la pratica del disegno a favore dell’effetto. Bandito il chiaroscuro, gli artisti procedevano per accostamenti di colore, costruendo effetti d’ombra e di luce senza far uso del nero. Risultato: inediti effetti di grande luminosità e resa atmosferica, che passavano anche per una semplificazione dello scenario nelle linee essenziali. Con una smaliziata disinvoltura, tra i pittori vigeva la tecnica della pennellata abbreviata, veloce, impulsiva, che registrava sulle tela alla bell’e buona l’impressione dell’immagine. Ma Cabianca infondeva a quell’appassionata impressione della realtà una patina di infuocata emotività. Come fece ne "l’Abbandonata" esposta nel 1858 alla Promotrice fiorentina e lodata più tardi da Diego Martelli, critico mentore sostenitore del gruppo, per essere uno dei quadri chiave nella storia del movimento macchiaiolo, tutta giocata su vibranti tocchi di luce che sembrano dare alla scena una luce propria quasi intima. Tra il 1859 e il 1860 Cabianca giungeva ad una rigorosa personalissima applicazione della "macchia" nei paesaggi e nelle scene di vita rurale e quotidiana che andava inseguendo nella campagna toscana di Montemurlo e lungo le coste della Liguria, col cuore al Golfo di La Spezia, dove soggiornava insieme a Signorini e Banti, come raccontano "Donne a Montemurlo", e "La filatrice". Un sodalizio artistico con i due che dal violento chiaroscuro dei primi momenti lo fa approdare al tonalismo acceso e alla luminosità tersa delle opere di Castiglioncello e Piagentina. Come racconta lo splendido dipinto "Marmi a Carrara Marina" (collezione privata) non più visto da quasi un secolo e il celebre capolavoro "Il mattino", più noto come "Le Monachine", esposto nel 1861 all’Esposizione Nazionale di Firenze. Un sodalizio confermato ancora quando nel 1861 con Banti e Signorini, Cabianca si reca a Parigi dove conobbe in modo più diretto e approfondito la pittura di Decamps, di Troyon, di Corot. Interlocutori illustri che lo condussero ad una raffinata sperimentazione della "macchia". I primi anni Sessanta dell’Ottocento segano la felice partecipazione di Cabianca al clima poetico e collettivo delle scuole di Castiglioncello e Piacentina, gli anni aurei della "macchia", come raccontano dipinti come "Canale della Maremma toscana"- esposto e venduto a Torino nel 1862 - e il bellissimo "Ritorno dai campi", ambientato sulle colline fiorentine, non più esposto da decenni. E’ il dipinto chiave attorno al quale s’incastonano in mostra purissime predelle con scorci di campagna toscana, lavori inediti o non più visti da tempo. Importante è il viaggio nel 1863 a Parma, ospite del pittore Barilli quando sposò Adelaide - distinta insegnante dalla quale avrà due figli, Silvio e Nerina e colonna portante della vita dell’artista sempre solidali e partecipi l’un dell’altra. Ma il legame con gli amici toscani continuava ad essere forte e tenace. Negli anni a seguire soggiornò ripetutamente a Castiglioncello, presso Diego Martelli, dove realizzò "Un bagno tra gli scogli" (dalla Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti) appartenuto allo stesso critico e recentemente restaurato. Ma ecco consumarsi il primo atto toscano, per inaugurare una nuova fase produttiva. Nel 1869, infatti, sbarca a Roma per dipingere lungo le coste del Lazio e in Ciociaria. Un primo assaggio di quel nuvo paesaggio tutto da scoprire, che diventerà il suo tema prediletto dal 1870 quando si trasferirà definitivamente nella capitale, sollecitato da Nino Costa. Ma sarà un decennio di pellegrinaggi. Cabianca si spostava moltissimo, dalla campagna romana (Palestrina, Terracina, Nettuno) fino a Ischia, e ancora in Liguria a Sestri Levante, a Venezia e a Castiglioncello, con Federico Zandomeneghi, attratto dagli effetti di luce che egli rende con straordinario vigore, piuttosto che dal carattere pittoresco dei luoghi. E’ il momento di "Strada a Palestrina" (1879), "Nettuno" (1872), "Palestrina" (Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti) opere dove la sua ispirazione malinconica si arricchisce di motivi spiritualistici, in consonanza con il clima generale degli ultimi due decenni del secolo: ne nasce uno splendido capolavoro "Nevi romane" (collezione privata) quadro tra i più poetici della sua maturità. Nel 1876 è tra i soci fondatori della Società degli acquerellisti, tecnica sperimentata già negli anni fiorentini, su esempio di taluni pittori dilettanti inglesi e nella quale si specializza facendosi notare e apprezzare tra gli altri da Gabriele D’Annunzio con cui collaborerà dal 1886 per l’illustrazione dell’"Isaotta Guttadauro" del Vate. Frequenta l’entourage di Nino Costa e su sua sollecitazione compie viaggi in Inghilterra (1881-1882), cercando quella fortuna commerciale che da qualche tempo arride al collega romano. Approfondisce la conoscenza della letteratura romantica inglese e della pittura preraffaellita. E’ sempre più indotto ad una sorta di interiorizzazione del vero, ad un approccio sulla realtà, mediato dal sentimento. La sua sensibilità malinconica e irrequieta lo porta ad accogliere nella sua poetica motivi spiritualistici, peraltro assai diffusi negli ultimi due decenni del secolo. Nella sua produzione l’osservazione realista è trascesa da una fissità onirica e fantastica, raccontate da opere come "Caligo", "C’era una volta una chiesina in riva al mare" e le infinite variazioni sul tema antico delle "monachine". Frequentatore assiduo del romano Caffè Greco, fu tra i fondatori dell’associazione "In Arte Libertas". Paralizzato sin dal 1893, morirà a Roma il 22 marzo 1902. LAURA LARCAN Notizie utili "Cabianca e la civiltà dei Macchiaioli", dal 6 aprile al 11 luglio, Palazzo Coelli, sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, piazza Febei 3, Orvieto. La mostra è curata da Francesca Dini. Orari: tutti i giorni 10-13, 14-19. Ingresso: intero €5, ridotto €3. Informazioni: 0763/393835-219752 Sito web: www. mostracabianca. it Catalogo: Polistampa.
Data recensione: 09/04/2007
Testata Giornalistica: La Repubblica.it
Autore: ––