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Testarda e battagliera ma su alcune cose distratta. O piuttosto lontana dalla «politica politicante», anche se fermissima nelle sue convinzioni. Fu così che nella tornata elettorale

Testarda e battagliera ma su alcune cose distratta. O piuttosto lontana dalla «politica politicante», anche se fermissima nelle sue convinzioni. Fu così che nella tornata elettorale del marzo 1994 Oriana Fallaci diede il suo voto a Mariotto Segni e poi se ne pentì amaramente. A quell’epoca fondatore ed esponente di primo piano del cosiddetto Patto Segni, Mariotto (figlio di quell’Antonio Segni democristiano che fu presidente della Repubblica dal 1962 al 1964) era reduce dalla vittoria ottenuta l’anno precedente nel referendum per la modifica della legge elettorale da proporzionale in maggioritaria, e perseguiva il sogno di un improbabile centrismo. Il voto (seguito da vivo disappunto) di Oriana a Mariotto viene rievocato da Mario Graziano Parri nell’editoriale Donna come me che apre la sezione «Buone Arti» dell’ultimo numero del quadrimestrale «Caffè Michelangiolo», interamente dedicata al ricordo della scrittrice morta a Firenze il 14 settembre scorso. Racconta Parri: «...con la vecchia Cinquecento con cui mi muovevo in centro l’avevo accompagnata al seggio, erano le ultime ore. Prima di entrarci osservò i manifesti sui muri di Santa Maria Novella. “Che facce”, disse... Poi bruscamente mi domandò: “Lei per chi ha votato?”. L’avevo affidato a Mariotto Segni il mio voto: aveva vinto alla lotteria, ma ancora non sapevo che avesse perduto il biglietto. Lei mi telefonò in piena notte, le proiezioni preannunciavano una inaspettata riuscita della destra. “Parri!”, fece. “Mi ha fatto votare per un perdente!”. Farfugliai una risposta: “A sentire il suo Malaparte, a vincere sono buoni tutti”». Le sfuriate di Oriana quando veniva delusa o contraddetta erano ben note a tutti, amici e nemici. Forse più ai primi che ai secondi. Altrettanto le telefonate alle ore improbabili per rabbuffare chi, per qualche comportamento, non le garbava. Comunque la risposta «malapartiana» dovette per il momento sembrarle sufficiente a lenire il bruciore, non tanto per la sconfitta del suo candidato, quanto per aver votato uno che alla fine non avrebbe contato niente. Infatti Mariotto fu sconfitto nel suo collegio uninominale di Sassari e risultò eletto deputato con il recupero proporzionale. Di successive scelte elettorali della Fallaci l’amico Parri non parla, preferendo invece soffermarsi sul romanzo al quale la scrittrice stava lavorando in quel periodo: il romanzo della sua famiglia che si apriva sullo sfondo della Firenze di fine Ottocento e avrebbe dovuto concludersi con la liberazione della città dalle truppe tedesche. Per ricostruire gli eventi e la realtà sociale fiorentina, Oriana si era messa a frugare negli archivi, chiedendo anche l’aiuto di Parri e di Vittorio Cosimini, con un illustre di direttore editoriale. Gli anni trascorsero ma il romanzo della Fallaci non comparve. Eppure Parri è convinto che di esso esistano trecento cartelle battute a macchina. Oriana cominciò a scriverlo subito dopo la pubblicazione di Insciallah e forse l’avrebbe portato a termine se l’attentato dell’11 settembre 2001 non l’avesse convinta a dedicarsi anima e corpo alla battaglia in difesa della civiltà occidentale e contro l’islamismo. «Evidentemente qualcosa era intervenuto, per tenerselo nascosto dentro - conclude Parri -. Io voglio pensare che l’abbia scritto, e magari tenuto in un cassetto perché è il genere di libro che non si può licenziare se non postumo. Il libro della verità della vita».
Data recensione: 28/12/2006
Testata Giornalistica: Il Giornale
Autore: Domizia Carafoli