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Primo aprile dell’anno di Cristo 1300. Un documento ufficiale affida ad Arnolfo di Cambio la progettazione e la edificazione di Santa Maria del Fiore, nuova cattedrale dei fiorentini. Nel

Primo aprile dell’anno di Cristo 1300. Un documento ufficiale affida ad Arnolfo di Cambio la progettazione e la edificazione di Santa Maria del Fiore, nuova cattedrale dei fiorentini. Nel 1300 Arnolfo è un uomo di circa sessant’anni, età venerabile per quei tempi, ed è un professionista celebre. Ha lavorato per il papa, per i sovrani angioini di Napoli, per l’alto clero di rango internazionale, per le grandi basiliche romane (Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le Mura, Santa Cecilia). A Firenze lo si chiama perchè è l’ingegnere-architetto più bravo che si possa trovare in Italia ma tutti sanno che è anche scultore e che i suoi talenti spaziano dall’architettura civile, all’urbanistica, alla pianificazione del territorio. Dobbiamo ad Arnolfo infatti non solo i monumenti simbolo di Firewnze (Palazzo Vecchio, Santa Croce, la Badia) ma anche il piano regolatore (la grandiosa cerchia delle mura urbiche, ci vorranno cinque secoli per colmarla) e la fondazione di nuovi insediamenti (San Giovanni, Terranova) nel Valdarno. Arnolfo ha praticamente “inventato” la Firenze che conosciamo e lo ha fatto in una breve manciata di anni.
La mostra a lui dedicata nel Museo dell’Opera del Duomo di Firenze (a cura di Enrica Neri Lusanna) evidenzia lo sforzo davvero considerevole di riunire a Firenze quanto più possibile di Arnolfo di Cambio, accostando le desiecta membra della sua attività romana e napoletana a ciò che resta del decoro plastico della facciata del duomo, disfatta alla fine del Cinquecento. Ma se la città, attraverso l’Ente Cassa di Risparmio e l’Opera del Duomo, ha investito risorse cospicue in un artista, Arnolfo, pressochè sconosciuto al grande pubblico e ha voluto che la mostra avesse il massimo di visibilità e quindi di successo, questo si spiega con il sottotitolo il quale recita: «Alle origini del Rinascimento fiorentino».
Come scrive Timothy Verdon, presidente del comitato nazionale per le celebrazioni arnolfiane, «dagli esordi nella bottega di Nicola Pisano, attraverso le determinanti esperienze alla corte imperiale e nella Roma papale, fino ai titanici lavori affidatigli dal Comune e dalla Chiesa di Firenze, questo maestro gettò le fondamenta - nel senso metaforico ma anche letterale - di quanto il Quattrocento e il Cinquecento avrebbero perfezionato». Arnolfo, quindi, come alfiere del Rinascimento fiorentino e italiano, come l’artefice, insieme a Dante e a Giotto, della nostra civiltà. In un certo senso possiamo dire che questa è la mostra della consapevolezza e del rimpianto. La piccola Firenze di oggi (“one company town”, vecchia e ricca, benpensante e conservatrice che vive quasi esclusivamente dello sfruttamento sagace e fruttuoso del suo passato) rende omaggio alla Firenze di Arnolfo, la città che aveva cinque volte gli abitanti di Roma e il doppio di quelli di Londra, che era attraversata dagli “spiriti animali” del capitalismo nella sua stagione eroica e che era a tal punto creativa da inventare praticamente in contemporanea con Dante Alighieri e con Giotto di Bondone, la lingua letteraria e la lingua pittorica degli italiani.
Arnolfo anche pittore, come pensava Maria Angela Romanini? Difficile dare una risposta a un quesito che, all’interno di una vera e propria “questione omerica” che è il cantiere d’Assisi, intriga gli specialisti da decenni. Ma si veda il catalogo, il bel saggio di Serena Romano, sul «dialogo con la pittura»; dialogo visualizzato in mostra dal Giotto della Pala di San Giorgio alla Costa e del polittico di Badia. Certo è che con Arnolfo scultore - in bilico fra gotico francese e memoria dell’Antico - si entra nella modernità delle arti plastiche. E non importa citare Arturo Martini per capirlo. Basti pensare che il suo Bonifacio VIII dell’Opera fiorentina e il Carlo D’Angiòdei Musei Capitolini sono le prime moderne «statue di Stato» ad apparire in Europa.
Data recensione: 22/01/2006
Testata Giornalistica: Sole 24 Ore
Autore: Antonio Paolucci