L’augurio è che l’anniversario della morte di Dante ci lasci qualcosa: con precedenti anniversari non è tutto sommato accaduto
Il libro di Maria
Cristina Ricci analizza i modi in cui il poeta descrive le fortificazioni. «Ai
suoi tempi erano diffusi come i nostri capannoni e lui aveva un lessico
ricchissimo»
L’augurio è che l’anniversario della morte di Dante ci lasci qualcosa: con
precedenti anniversari non è tutto sommato accaduto altrettanto». Così Franco
Cardini, noto storico e saggista italiano, nella presentazione del tascabile
“Le parole del castello nelle opere di Dante Alighieri”, fresco di stampa
presso Mauro Pagliai editore in Firenze (euro 8). Ne è autrice Maria Cristina
Ricci, che ha dato un suo contributo originale in questo anno dedicato al settimo
centenario della morte del grande poeta italiano e in questa fioritura di studi
danteschi.
Profondità sorprendente
«L’abbondanza dei termini riconducibili direttamente o indirettamente alle
fortificazioni medievali – scrive ancora Cardini nella sua articolata
prefazione – è d’un’ampiezza, di una profondità e di una serietà sorprendenti: essi
invadono l’architettura, la tecnica militare, la balistica, l’ingegneria, la
matematica, la storia religiosa, l’arte venatoria, il linguaggio nautico e
moltissimi altri àmbiti». Un approccio nuovo, limitato ai riferimenti castellani,
che sono più numerosi di quanto ci si può aspettare, anche se – come scrive
l’autrice nelle prime pagine – solo la prima cantica della Divina Commedia «è
ricca di riferimenti all’architettura castellana e agli scontri armati,
contrariamente alle altre due cantiche, dove i termini riconducibili a lotte e
conflitti armati mancano totalmente o sono impiegati in modo simbolico». Ma
l’indagine non si limita alla “Comedia”, comprendendo anche il dramma amoroso, pur
di attribuzione discussa, “Il Fiore”, dove l’assedio è rivolto alla donna
amata. Nell’attenta analisi l’autrice sottolinea la competenza lessicale di
Dante, che può rifarsi plausibilmente all’esperienza diretta, da lui vissuta.
Parte del paesaggio
«Le fortificazioni murate – scrive – erano entrate a far parte del paesaggio di
Dante tanto quanto a noi moderni appaiono capannoni, aree di servizio, centri
commerciali». La partecipazione del ventiquattrenne fiorentino alla battaglia
campale di Campaldino contro i ghibellini aretini e alla conquista del castello
di Caprona nel Valdarno pisano spiegano come termini e riferimenti legati alle
fortificazioni e all’uso delle armi entrano «a far parte del lessico per
esperienza diretta».
Nell’Inferno
Venendo ad alcuni passi del volumetto, mi piace riportare a mo’ di esemplificazione
quanto la Ricci annota relativamente al primo incontro della parola “castello”
nel quarto canto dell’Inferno: «Scortato dai massimi poeti del mondo antico,
Dante giunge ai piedi di un castello cinto di sette cerchie di mura e circondato
da un fossato acqueo. All’interno vagano due gruppi distinti di anime, sul
prato verde-smalto i personaggi dell’Iliade e dell’Eneide, accanto a illustri
Romani e al sultano d’Egitto, mentre il pendio più in alto accoglie i grandi
filosofi greci e latini e gli scienziati, ossia il Pantheon culturale di
riferimento di Dante. Il castello è dunque la metafora di un luogo
privilegiato, inondato di luce, al contrario della penombra del Limbo: in tale
modo Dante esprime il suo desiderio di vedere in qualche modo riconosciuta la
grandezza di questi Spiriti Magni, così duramente colpiti da una dottrina
religiosa che non ammetteva deroghe ai suoi dogmi».Valga questa lunga citazione
come saggio dell’analisi contenuta nel lavoro, che dal termine relativo alle fortificazioni
arriva a illustrare aspetti della “Comedia” e intenti dell’autore.
Un capitolo, verso la fine, è dedicato alla questione della lingua, dove Dante
utilizza vocaboli e locuzioni dell’uso quotidiano, tratti dai dialetti toscani,
siciliani e padani, accanto a neologismi colti, derivati dal latino. Non manca
di ricordare l’autrice un fatto singolare della lingua italiana, che tanto deve
a Dante e alla popolarità del suo Poema. Al contrario del francese e
dell’inglese letterari del XIII, ma anche del tedesco (aggiungo io), che oggi
risultano ai più quasi incomprensibili o comunque di difficile comprensione,
l’italiano, grazie a Dante, è meno lontano per chi ancora oggi lo parla.
Il “Convivio”
E questo avviene non solo grazie alla Divina Commedia, ma anche al “Convivio”,
dove Dante utilizza e codifica i termini fondamentali della scienza del suo
tempo: dalla metafisica all’etica, dalla logica alla geometria, dalla medicina
all’astronomia e alla musica. Lo stesso avviene per i termini relativi ai
castelli e alle fortificazioni in generale. Ricordando i dieci anni trascorsi
nel direttivo della sezione Lombardia dell’Istituto italiano dei castelli,
Maria Cristina Ricci ha voluto dedicare l’opera alla memoria di Graziella Colmuto
Zanella, appassionata docente di Storia dell’architettura e figura luminosa che
della sezione fu per tre mandati consecutivi entusiasta presidente, aprendo
l’istituzione anche al di fuori dell’ambiente accademico.
Data recensione: 01/11/2021
Testata Giornalistica: La Provincia di Sondrio
Autore: Guido Scaramellini