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Nel settimo centenario di Dante Alighieri, tanti sono i punti di vista per affrontare le sue opere e la sua epoca

Nel settimo centenario di Dante Alighieri, tanti sono i punti di vista per affrontare le sue opere e la sua epoca. Non fa eccezione l’alimentazione, strumento assai preciso per delineare il carattere di una società, i rapporti di potere e la divisione sociale al suo interno. E attraverso il cibo, ricompare davanti ai nostri occhi la Firenze di Dante, garbatamente ricostruita da Maria Concetta Salemi, studiosa di cultura del cibo, attraverso un sapiente equilibrio tra fonti storiche e letterarie, aneddotica e ricettari medievali.
Avventurandosi nella lettura, si scopre una civiltà semplice eppure articolata, che aveva anche nel cibo e nei suoi riti una sorta di vademecum delle virtù, al punto da distinguere, ad esempio, fra pesci “virtuosi” e “peccaminosi”, includendo fra i primi i pesci di acqua dolce, più poveri ed economici, mentre quelli di mare, più preziosi e pregiati nel gusto, rientravano fra i prodotti di lusso, da evitare, almeno sulla carta, nei giorni di magro e di penitenza. Ma era la carne, soprattutto la cacciagione, il vero cibo dei ricchi, laici come dell’alto clero. Anche a loro è destinato il girone narrato nel VI Canto dell’Inferno che ha Ciacco fra i protagonisti. Per mitigare almeno un po’ il terrore dell’aldilà, e addolcirne le privazioni quotidiane, i meno abbienti si consolavano con le storie legate al Paese di Cuccagna, dove si arrostiscono le oche per le strade, a disposizione di chi le desideri, e dove la gola non era un peccato, ma solo la reazione a una fame atavica. Da non dimenticare come Guelfi e Ghibellini fossero divisi anche in fatto di abitudini a tavola. Ma il cibo diventava anche pretesto o materia di scherzi ingegnosi, oppure per goliardici componimenti poetici, ma soprattutto era una mezzo per esercitare la virtù, condividendolo con i meno fortunati; le agiografie dei santi sono piene di episodi del genere, e accadeva assai spesso che in occasione di matrimoni nella famiglie più ricche, anche al ceto povero venisse offerto un banchetto. C’era poi una condivisone che, sulle tavole abbienti, diventava sinonimo di cortesia, e implicava un elaborato galateo.
Data recensione: 01/05/2021
Testata Giornalistica: Leggere:tutti
Autore: Niccolò Lucarelli