È uno degli eventi rimasti impressi nell’immaginario: l’incidente alla Centrale di Chernobyl avvenuto il 26 aprile 1986
È uno degli eventi rimasti impressi nell’immaginario: l’incidente
alla Centrale di Chernobyl avvenuto il 26 aprile 1986 e le cui conseguenze dall’Ucraina
arrivarono a coinvolgere anche l’Italia, piombata insieme al resto dell’Europa
in un incubo dai contorni inizialmente troppo incerti per poter essere
fronteggiato adeguatamente. Una tragedia dalle conseguenze planetarie e tuttora
non priva di misteri, verità non dette, approssimazioni.
A raccontarla anche una miniserie dell’Hbo, trasmessa in questi giorni su La7.
Per il giornalista fiorentino Francesco Bigazzi, all’epoca a capo dell’ufficio
stampa dell’Ansa a Mosca, il disastro verificatosi nell’impianto nucleare della
località oggi in Ucraina, vicino al confine con la Bielorussia, ha significato molto
più di una, sia pur importantissima, notizia da comunicare. Tra gli otto
cronisti accompagnati per primi sul posto dalle autorità sovietiche il 9 maggio
1986, Bigazzi ha continuato a lungo a interrogarsi, studiare, indagare,
recandosi ripetutamente nell’ormai città fantasma di Prypiat contaminata dalle
radiazioni, dove abitavano tecnici e operai al lavoro nei rischiosi reattori all’origine
di una devastazione per comprendere la quale non si può ignorare la geopolitica
di quegli anni travagliati, nella morsa della Guerra fredda e del mondo diviso nei
due blocchi dell’Est e dell’Ovest, al di là e al di qua della cortina di ferro.
Per questo Bigazzi, nell’inchiesta giornalistica che ha ora raccolto nel libro
“Testimone a Chernobyl” (Mauro Pagliai editore), con introduzione di Stefano
Polli, vicedirettore dell’Ansa, e prefazione dello scienziato Antonino
Zichichi, traccia anche un accurato affresco dell’Unione Sovietica del periodo,
convinto che senza la Glasnost i fatti di Chernobyl sarebbero rimasti sepolti
sotto una coltre di reticenze, silenzi, menzogne. Non che il compito del
giornalista dopo il crollo dell’Urss sia stato facile, in ascolto delle fonti
dirette (tra le voci, anche quella del Premio Nobel Andrej Sakharov, che
concesse un’intervista esclusiva per denunciare i problemi dello sfruttamento
pacifico dell’energia atomica in condizioni di mancata sicurezza), chiamato a unire
le tessere di un mosaico frammentato fino a ottenere un quadro il più possibile
completo, in una narrazione che ha l’incedere di un giallo molto avvincente. A
proposito delle cause, Zichichi punta il dito su un problema «non scientifico o
tecnologico, ma culturale: i dirigenti del reattore n. 4 della centrale
nucleare, per vincere il “Premio Lenin”, portarono a un aumento incontrollato la
potenza del reattore. L’Italia, venti anni fa era in prima fila nella competizione
mondiale per la costruzione di centrali nucleari con il massimo livello di
sicurezza. Dovette abbandonare questa posizione privilegiata per via dell’insulto
alla Scienza venuto da Chernobyl» sostiene il fisico. Ma il libro di Bigazzi, illustrato
dalle fotografie di Mauro Galligani, illumina anche sulle reazioni successive
alla sciagura da parte di un potere che alla salute dei cittadini anteponeva la
preservazione della propria immagine esteriore.
Data recensione: 19/06/2020
Testata Giornalistica: Libertà
Autore: Anna Anselmi