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Fra coloro che si sono spinti nel “paese bunker” c'è Federico Giuliani, laureato in Scienze politiche dell'ateneo fiorentino e ben noto a chi verga queste righe

Fra coloro che si sono spinti nel “paese bunker” c'è Federico Giuliani, laureato in Scienze politiche dell'ateneo fiorentino e ben noto a chi verga queste righe, che, avendo fatto di Pyongyang e dintorni una sorta di oggetto del desiderio, è riuscito a coronare il suo sogno nell'agosto del 2017, e da quella avventura ha tratto un interessante resoconto, che è servito da premessa per la revisione e successiva pubblicazione della tesi di laurea poco prima dedicata alle vicende nordcoreane. I due testi sono un'utile introduzione ad una conoscenza del paese meno influenzata dalle leggende e dai pregiudizi che sul suo conto si sono accumulati. Corea del Nord vuol essere qualcosa di più di un carnet di viaggio, malgrado i molti riferimenti alle esperienze fatte durante le due settimane di soggiorno in loco e le fotografie lì scattate. Giuliani si sforza infatti di oltrepassare i limiti della cronaca e dell'aneddoto, inquadrando ciò che ha visto nella cornice delle letture fatte, per spiegare all'estraneo la logica delle cose a cui si riferisce. Ne esce un racconto vivace, con qualche sbilanciamento simpatetico ma, nell'insieme, piuttosto equilibrato. A colpire il viaggiatore è il contrasto della realtà constatata con qualcuna delle aspettative forgiate dai mezzi d'informazione occidentale. Lo colpisce soprattutto il connubio fra tradizione e innovazione, che immagina alla base di un patto fra governo e cittadini: ai secondi viene concesso qualche surrogato della società del benessere – automobili e smartphone di produzione autarchica, benefici per i funzionari “ben operanti”, timide aperture alla proprietà privata – in cambio di acquiescenza. Gli incentivi devono soprattutto servire a incrementare quantità e qualità della produzione, per garantire autosufficienza al paese e ridurre le importazioni. Che nessuno si lamenti della situazione, come sostiene Giuliani, può essere opinabile; resta il fatto che il regime continua a pretendere molto da chi ci vive: dieci anni di leva militare non sono pochi, ed occorre sopportare il protrarsi di un culto della personalità che ha aspetti paranoici: dai quadri dei Kim esposti in pubblico ventilati o riscaldati a seconda delle stagioni al divieto assoluto di danneggiare giornali o francobolli in cui figuri la foto di uno degli “amati” esponenti della dinastia, fino all'assegnazione alle piante che abbelliscono le facciate delle abitazioni di nomi che ricordano chi comanda: nientemeno Kimilsungia Kimjongilia. Che la Repubblica popolare di Corea resti un paese-bunker, l'autore lo ammette e lo documenta, citando fra l'altro la metropolitana di Pyongyang costruita a 110 metri di profondità e provvista di spesse porte d'acciaio per poterne  fare un rifugio antiatomico. L'esercito, scrive, è il motore dell'intero sistema, e perfino l'ampiezza delle strade della capitale è motivata dalla necessità di offrire un adeguato scenario alle imponenti parate militari. Ciò non gli impedisce di spargere qua e là qualche giudizio benevolo, di negare l'immagine di “paese fallito” e di sostenere che, a ben vedere, «la tanto famigerata e folle» Corea del Nord non è che «l'ennesima vittima della sfrenata ambizione statunitense».
Data recensione: 01/05/2019
Testata Giornalistica: Diorama Letterario
Autore: Marco Tarchi