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Sino al 7 luglio, a Pistoia, in piazza Duomo, nelle Sale Affrescate del Palazzo Comunale oltre novanta opere – disegni, bozzetti, olii, persino proiezioni di affreschi eseguiti in

Sino al 7 luglio, a Pistoia, in piazza Duomo, nelle Sale Affrescate del Palazzo Comunale oltre novanta opere – disegni, bozzetti, olii, persino proiezioni di affreschi eseguiti in Sardegna come "Apoteosi di Eleonora d’Arborea" (1931), "Allegoria Arborense" (1933-34), quello della chiesetta di Villaurbana (1948) e i monumentali dipinti allegorici della Cantina Sociale della Vernaccia di Oristano (1955-56) – illustrano l’opera di Carlo Contini (1903-1970). Suggeriscono nel titolo, «L’isola e il mondo», il filo conduttore di un percorso espositivo costantemente in bilico tra radici fortemente gravate di tradizione e la necessità di superarne i confini, di sperimentare e confrontarsi. Irrequietezze che il critico d’arte fiorentino Giuliano Serafini, curatore della mostra e del catalogo (Edizioni Polistampa, Firenze), indaga con appassionata partecipazione. Tutto emerge nel manifesto e nella copertina del catalogo che recano un messaggio grafico efficace e immediato. Il felice accostamento di due momenti pittorici lontani vent’anni, e tuttavia assolutamente riconducibili a un inconfondibile stile. Il primo è un disegno, «Il pastore cieco» (1933), particolare preparatorio di «Allegoria Arborense» e rappresentazione di un dramma imbrigliato in una ben precisa quadrettatura del foglio; il secondo è un olio informale, «Ritmi di giostra» (1954), composizione di tasselli coloratissimi. Il percorso è chiaro, dalla pianificazione dell’opera, dalla costruzione del dipinto, si giuge alla sintesi e all’astrazione. Ma non definitivamente. Le due rappresentazioni, dettate da analoghi impulsi, coesisteranno senza interruzione nella vita e nell’opera di Contini. Da una parte l’inesauribile amore per un’isola-archivio-personale di emozione, dall’altra l’esigenza mai paga dell’artista che cerca, conosce e sperimenta. E, sempre, rielaborazioni, ripensamenti infiniti. Ritratti occhieggianti il Biasi del periodo africano. Ritratti disegnati direttamente col colore, ammiccanti al Fauvismo. Citazioni della forza espressiva di Oskar Kokoschka, profondamente sentite. Citazioni dello spiritualismo e dell’esistenzialismo religioso di Georges Rouault che Contini considerava "un colosso, uno dei più grandi pittori viventi". Citazioni espressioniste e semplificazioni. Un percorso verso sintesi che passano per le campagne dell’isola, per la pittura en plein air, per i paesaggi dove le facciate di case di paese sono ridotte a tessere di improbabili varianti cromatiche, frantumate come gli imprevisti cromatismi di "Pollaio" (1960), di "Presepe" (1960) e dei "Regali di Natale" (1963). La storia di Carlo Contini è simile a quella di molti altri artisti sardi e sarebbe utile e interessante approfondire e storicizzare ulteriormente la sua biografia, i suoi percorsi espositivi e la sua bibliografia, così da coglierne appieno il ruolo nel contesto isolano. La sua generazion è quella immediatamente successiva _ e perciò condizionata _ dai padri dell’arte moderna isolana: Giuseppe Biasi, Francesco Ciusa, Filippo Figari. Carlo nasce a Oristano nel 1903 e coltiva fin da piccolissimo il sogno di diventare pittore. Una borsa di studio assegnatagli dal Comune del suo paese gli permette di recarsi a Roma e di frequentare i corsi dell’Accademia di Belle Arti. Si aprono mondi nuovi, anni di impegno e lavoro; la partecipazione, nel 1921, alla Biennale Romana. Dopo il servizio militare trascorre un lungo periodo (1925-1932) a Venezia dove l’incontro con i grandi del passato si accompagna al mondo delle Biennali e delle avanguardie europee. La sua opera continua ad essere un’incessante ricerca tra salde costruzioni pittoriche e il desiderio d’informale, di quell’astrazione che è sentimento e che gli riesce facile coniugare con ciò che va rappresentando. Tutto pare pronto perché si compia il volo del non ritorno. Ma, improvviso, il richiamo delle radici si fa irresistibile: inutile lottare, chi è sardo sa bene che ciò rientra nella normalità. Nel 1933 Contini si stabilisce definitivamente a Oristano, ma trascorre lunghi periodi di lavoro a Pistoia, città della moglie Dorotea Guiducci, e città dove, gravemente malato, morirà nel 1970. Partecipa a numerose personali e collettive: nel’45 alla Prima Libera Esposizione Regionale d’Arte nella Galleria Comunale di Cagliari. Nel’49 alla grande Mostra Moderna della Sardegna nelle sale della Bevilacqua La Masa a Venezia. Negli anni’50 alle numerose mostre che fanno di Nuoro il centro culturale sardo più attivo del decennio. E ancora, negli anni’60, espone a Montecatini Terme, a Cagliari, a Sassari, a Francovilla al Mare, a Oristano. In Sardegna frequenta gli artisti locali _ Eugenio Tavolara, Stanis Dessì, Giovanni Ciusa Romagna, Carmelo Floris, Pietro Antonio Manca _ come lui quasi tutti reduci da studi continentali. Con loro divide un momento culturale importante, particolarmente vivace, ricco di novità e fermenti. «La mostra _ osserva Giuliano Serafini _ è una sfida rivolta ai centri egemoni dove si è sempre "fatta" l’arte, a dimostrazione che i margini e le periferie possono diventare delle polarità altamente competitive». Letto cronologicamente, il percorso espositivo porta a una conquistata maturità umana e artistica. "Autoritratti", disegni o olii, descrittivi o velocemente espressi con spatolate di colore. Quotidianità degli affetti indagati in famiglia nei ritratti della moglie e dei figli "Valerio" (1950) e "Lalla" (1951). Il mondo del lavoro e della festa, "La ruota della fortuna" (1949) e "Il ballo tondo" (1952). Il mondo religioso popolato dalle figure possenti di chierici-contadini, abiti di un rosso violento, o azzurrini, o giocati su altri toni, come nel "Confratello verde" (1948) arrivato direttamente dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro di Venezia. Le camicie bianche mosse dal "Maestrale" (1967) sulle spalle di pescatori aggrappati alla barca nei cui legni vive un piccolo tassello rosso sangue, impronta della passione. E spirito d’indipendenza. Il giusto diritto che Carlo Contini rivendica di "rimanere fedele al realismo puro come pittura d’avanguardia", ma anche di fermarsi ad ascoltare l’agitarsi dell’animo e di farlo emergere, inaspettato, nella grande "Macchia" del’63, nera e materica, attaccata in rilievo sulla tela e ferita da piccoli solchi.
Data recensione: 25/06/2002
Testata Giornalistica: La Nuova Sardegna
Autore: Gavina Ciusa